Dalla Svizzera all’India, i ristoranti che siedono accanto alla morte

A Berna apre il primo ristorante in un cimitero, tra architettura e memoria. In India si pranza da decenni tra vere sepolture. Due modi diversi ma complementari di riportare la morte nella vita

Dalla Svizzera all’India, i ristoranti che siedono accanto alla morte
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A Berna, tra i viali alberati e il silenzio ordinato del Bremgartenfriedhof, sta per nascere un luogo che rovescia ogni aspettativa. Là dove un tempo erano custodite le urne cinerarie, sorgerà un ristorante dal nome evocativo: La Vie. Non un locale qualunque, ma il primo in Svizzera costruito all’interno di un cimitero. L’idea è della Bernische Genossenschaft für Feuerbestattung, la cooperativa che gestisce il crematorio monumentale del 1908 e che ha scelto di ridare vita alle antiche Urnenhallen, spazi storici da anni inutilizzati.

Non si tratterà di mangiare tra le lapidi, ma di sedersi in un ambiente suggestivo, ristrutturato con sobrietà, capace di accogliere tanto chi frequenta il cimitero per un rito di memoria quanto chi desidera una pausa tranquilla nel cuore di un parco monumentale. Il nome stesso, La Vie, è una dichiarazione d’intenti: contrapporre la vita al lutto, trasformare un luogo di silenzio in un punto d’incontro. L’apertura, inizialmente prevista per gennaio 2026, è stata spostata alla primavera, a conferma della volontà di rispettare i tempi del restauro. Nessuna opposizione morale o religiosa è emersa: a Berna si è scelto di affrontare la questione con naturalezza, consapevoli che la morte fa parte della vita e che i luoghi che l’hanno custodita possono tornare a respirare con funzioni nuove e condivise.

Mentre in Svizzera si discute di architettura e memoria, in India la fusione tra quotidianità e morte avviene in maniera diretta, senza cornici istituzionali. Ad Ahmedabad, nel Gujarat, il New Lucky Restaurant serve da decenni tè e panini imburrati in mezzo a una dozzina di autentiche sepolture, disposte in sala come arredi. Sono sarcofagi in pietra, dipinti di verde e recintati da grate basse, appartenenti – si dice – a seguaci di un santo sufi del XVI secolo. Ogni mattina vengono puliti, talvolta ornati di fiori freschi: non simboli di morte, ma presenze beneauguranti, quasi numi tutelari del luogo.

Il locale, nato come un chiosco del tè accanto a un camposanto, si è ampliato inglobando le tombe, che nessuno ha mai voluto spostare. Lì la tradizione e il pragmatismo si sono fusi in una convivenza unica, dove bere un chai caldo tra le bare è diventato non un atto macabro, ma un gesto quotidiano. Tra i clienti affezionati del New Lucky c’era persino M. F. Husain, il grande pittore indiano, che amava sedersi tra quelle sepolture con il suo taccuino: segno che il ristorante non è solo curiosità, ma parte integrante della cultura popolare della città.

A confrontare i due casi si colgono differenze e affinità. A Berna, il progetto ha il respiro di un’operazione culturale europea, con il restauro di spazi vincolati e la promessa di una convivialità discreta, quasi meditativa. Ad Ahmedabad, il rapporto con la morte è naturale e popolare: si mangia, si chiacchiera, si ride accanto a tombe rispettate come parte del paesaggio urbano. In comune, però, vi è un messaggio forte: la morte non è qualcosa da rimuovere, ma da riconoscere come parte della vita, persino seduti a tavola.

Due città, due mondi, due ristoranti diversissimi per estetica e concezione, ma accomunati da un gesto controcorrente: riportare la fine dentro la normalità dell’esistenza.

Che sia in un elegante caffè svizzero ricavato da una sala funebre o in un affollato locale indiano dove si serve chai tra le bare, il risultato è lo stesso: rompere il tabù, ricordare che la vita e la morte, da sempre, siedono allo stesso banchetto.

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