Scelte di mercato, ma non contro le imprese

I vertici di Unicredit e Intesa si sono riuniti ieri per deliberare diverse forme di rafforzamento patrimoniale. Più semplicemente hanno dato una rafforzatina alle proprie fondamenta per affrontare i prossimi mesi, che non si annunciano semplicissimi. La banca guidata da Profumo ha deciso di farlo chiedendo ai propri soci 4 miliardi. Il che fa un totale di sette miliardi di nuovo capitale raccolto sul mercato in meno di un anno. Come dimostra il caso francese di Bnp questo è il momento giusto per vendere ai propri soci nuova carta azionaria. I rendimenti del capitale sono talmente bassi, che vi è la disperata ricerca di buone occasioni.
Intesa ha scelto una strada diversa. Parte da una solidità di patrimonio superiore a quella dei cuginetti di Unicredit e ha un’esposizione inferiore in Paesi che hanno sofferto maggiormente la crisi. Ha la possibilità di vendere qualche gioiellino di famiglia e ha optato per un prestito a tassi molto convenienti. Non c’è bisogno per Passera & co. di chiedere ai soci di mettere nuovo capitale in banca. Come si vede le strade adottate dalle due banche, tecnicamente diverse, sono simili nella finalità. Allargare le spalle per i prossimi mesi. Non solo per l’attesa di nuove regole, ma anche per affrontare il peggioramento del credito.
I morsi che oggi le imprese sentono sui propri bilanci hanno un effetto ritardato su quelli delle banche che hanno prestato loro i quattrini. P&P hanno deciso di non emettere i Tremonti bond. Si tratta di strumenti, come si sa, che vanno anche essi a rafforzare il patrimonio delle banche. Non lo fanno per un motivo molto semplice: costano più degli strumenti analoghi individuati dalle banche. Chi ritiene che i grandi istituti oggi non stiano erogando a sufficienza quattrini nel sistema delle imprese italiane, non tragga da questo comportamento conclusioni affrettate. Se è vero che le banche non aiutano le imprese, poco sarebbero serviti i Tbond, come poco servono gli strumenti approvati ieri.
La scelta di allargare i cordoni della borsa del credito non è in funzione della tipologia dello strumento di capitale che si è voluto sottoscrivere. Piuttosto il segnale dato ieri dai due istituti è confortante dal punto di vista del mercato. Se la sono cavata da soli. Certo nel momento del bisogno (l’autunno dell’anno scorso) il governo ha dato un forte segnale di presenza. Ma più sulla garanzia dei depositi che su quello dei Tbond. In Francia essi sono stati resi operativi già nel 2008 quando le banche ne avevano davvero necessità.

Le lungaggini italiane hanno fatto sì che uno strumento pensato nel momento del bisogno (ottobre 2008) sia stato reso operativo dopo sei mesi. Troppo per servire davvero. Per questo oggi, finita la tempesta, le banche si possono permettere di snobbarli.

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