Lecco - Da oltre 16 anni un caso che divide e fa discutere. Attraversato da speranze, nei primi anni, che la giovane potesse riprendersi ma poi dall’auspicio, soprattutto del padre, che potesse trovare una "dolce morte". Tutto condito da una lunghissima battaglia giudiziaria che ha visto papà Beppino sempre in prima fila a chiedere ai giudici di ogni ordine e grado per Eluana il diritto a staccare la spina.
La vicende inizia il 18 gennaio del 1992, quando la donna, all’epoca 20enne, rimane coinvolta in un incidente stradale. Ricoverata nell’ospedale di Lecco in stato vegetativo permanente, alimentata da un sondino nasogastrico, Eluana sprofonda in uno stata di non - coscienza, a causa della corteccia cerebrale necrotizzata. Dal 1997 il padre Beppino, diventa il suo tutore e comincia la lotta nei tribunali per essere autorizzato a sospendere l’alimentazione e l’idratazione artificiale alla figlia. La prima sentenza è del Tribunale di Lecco che nel 1999 respinge la richiesta di fermare l’alimentazione.
Nel 2003, l’istanza viene ripresentata e di nuovo respinta dal Tribunale di Lecco prima e dalla Corte d’Appello di Milano poi. Stesso copione nel 2006. Nell’aprile del 2005 anche la Cassazione boccia il ricorso di Beppino, ma il 16 ottobre del 2007 sempre la Suprema Corte rinvia la "palla" alla Corte d’Appello di Milano, sostenendo che il giudice può, su istanza del tutore, autorizzare la sospensione in presenza di due circostanze: la condizione di stato vegetativo permanente irreversibile e l’accertamento, sulla base di elementi del vissuto del paziente, che questi, se cosciente, non avrebbe prestato il suo consenso alla prosecuzione delle cure. Circostanza sempre ribadita dallo stesso padre e da conoscenti che avevano sentito Eluana dire "Io così non vorrei vivere", quando un amico, sempre per un incidente stradale, entrò in coma.
Il 9 luglio i giudici milanesi riconoscono la sussistenza di entrambe le condizioni e accolgono la richiesta di Beppino. Il primo agosto, però, la Procura Generala ricorre in Cassazione contro questo verdetto e, a settembre, chiede la sospensione dell’esecutività della sentenza. Il 3 settembre scorso, la Regione Lombardia, rispondendo a una lettera di diffida del papà di Eluana, afferma che il personale sanitario lombardo non può sospendere i trattamenti sanitari che tengono in vita la paziente.
L’8 ottobre scorso i giudici civili di Milano pronunciato una sentenza di "non luogo a provvedere" sulla richiesta avanzata dalla Procura generale di sospendere l’esecuzione della decisione che autorizzava lo "stop" dei trattamenti sanitari. In sostanza una "non decisione". I giudici non ravvisano le "esigenze di urgenza" che giustificherebbero la sospensione dell’esecutività della sentenza. Lo stesso giorno la Corte Costituzionale dichiara inammissibili i ricorsi presentati dalla Camera e dal Senato contro la sentenza della Cassazione e il decreto della Corte d’appello di Milano.
"Questa Corte - si legge nell’ordinanza depositata - non rileva la sussistenza nella specie di indici atti a dimostrare che i giudici abbiano utilizzato i provvedimenti censurati, aventi tutte le caratteristiche di atti giurisdizionali loro proprie e, pertanto, spieganti efficacia solo per il caso di specie, come meri schermi formali per esercitare, invece, funzioni di produzione normativa o per menomare l’esercizio del potere legislativo da parte del Parlamento, che ne è sempre e comunque il titolare".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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