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Lo schiaffo ai "verdi" di professione: i veri ecologisti sono 12mila ragazzi

Torna la Giornata di primavera del Fai, con centinaia di luoghi esclusivi aperti al pubblico. Tantissimi i volontari all’opera, fra cui molti studenti

Lo schiaffo ai "verdi" di professione: i veri ecologisti sono 12mila ragazzi

Terribile: c’è qualcuno, in Italia, che propone un weekend fuori dall’outlet. Si pensava che simili temerari fossero completamente estinti, spazzati via con il loro patetico anacronismo. Invece sopravvivono e resistono. Sono una cerchia particolarissima di umani che ancora crede e parla, senza neanche vergognarsene, di concetti obsoleti come bellezza, estetica, gusto, armonia. Non si nascondono neppure: spacciano le proprie idee firmandosi con un acronimo ben riconoscibile, Fai. Sta per Fondo ambiente italiano. Mentre la maggioranza dei connazionali s’inventa di tutto, da anni, per mandare a fondo l’ambiente di questa terra baciata dagli dei, loro sostengono un fondo per risollevarlo. Sono di una razza veramente strana. Oppure sono sbarcati nottetempo da un’astronave.
Spudorati e senza vergogna, domani e domenica tornano alla carica, con la 18esima edizione della Giornata Fai di primavera. Baciati dal primo sole di stagione, spalancheranno le finestre su 590 luoghi d’Italia che tanti, troppi, quasi tutti ancora non conoscono. O conoscono poco. Palazzi reali e castelli, basiliche e monasteri, giardini e conventi, biblioteche e aree archeologiche, teatri e parchi, sentieri e paesaggi. Luoghi d’arte e luoghi di natura, da scoprire a piedi, in bicicletta, persino col parapendio. Una 48 ore di immersione totale nella bellezza e nella storia che abbiamo sottocasa, fuoriporta, appena oltre la tangenziale. Un’occasione unica per rialzare la testa e sentirci persino un po’ migliori.

Piace a loro definirla festa popolare, ma non c’è niente di populista o di demagogico in questa occasione, invece lieve e raffinata. Stupisce l’entusiasmo e l’imponenza dello sforzo organizzativo: in giro per i 590 siti aperti si muoveranno 7.000 volontari, mentre i visitatori saranno accompagnati da qualcosa come 12mila «Apprendisti Ciceroni», cioè giovani studenti nostri che per scelta inspiegabile rifiutano l’ecstasy del sabato sera e si fanno unicamente di cultura, riciclandola nell’occasione a beneficio del pubblico.

Va detto senza timori e senza pudori: questo weekend è qualcosa di veramente alto. Mezza Italia impiega il proprio tempo per stabilire se Busi debba tornare sull’Isola dei famosi, l’altra metà apre gli occhi. Come hanno scritto i grandi, c’è chi guarda e c’è chi vede. La differenza è abissale. Chi vede ha occhi particolari, che sanno andare fino alla profondità e al significato delle cose. L’Italia ne avrebbe un disperato bisogno, per fermare questa inesorabile deriva del proprio gusto, avviato sempre più al ribasso, verso un’estetica cafona, dozzinale, trash.

Andrebbero spese molte più parole, per questo tema della bellezza. La bellezza non è un articolo per nobildonne sfaccendate o per danarosi snob: la bellezza è un fenomenale veicolo per elevare gli uomini dai loro limiti e dalle loro miserie. Diceva Hugo: persino il lusso, se non è smodato e vuoto, se non è uno stupido strumento di ostentazione, ha un ruolo fondamentale, perché senza il lusso non ci sarebbero neppure le arti, cioè le espressioni migliori dell’uomo. Sviluppare in un popolo il culto della bellezza significa elevarlo e renderlo certamente migliore. Toccherebbe alla scuola, subito dopo il biberon, inocularlo tra le nuove generazioni. Ma la nostra scuola sappiamo come sta messa: già il colpo d’occhio di tanti istituti, elementari e superiori, non può scatenare niente di elevato in nessuno, se mai può solo deprimerlo e avvilirlo, trascinandolo verso il basso della sciatteria, del grigiore, dello sfascio. Ci vorranno anni, per recuperare il terreno perduto. Se mai riusciremo.

Ma non andiamo troppo in là con il pessimismo. Teniamoci su con il prossimo weekend, che è già molto. E di questo bisogna dare atto soltanto ai valorosi del Fai. Da una trentina d’anni si battono senza bandiere partitiche e senza paraocchi ideologici, mossi unicamente da un semplicissimo articoletto della Costituzione, il numero 9: «La repubblica tutela paesaggio e patrimonio artistico della nazione». In attesa che la repubblica lo faccia davvero, il Fai procede in prima persona. Fai da te. Raccoglie fondi e donazioni per restauri, solleva questioni di tutela, salva angoli d’Italia. Diciamolo: è l’ambientalismo che piace. Non è l’ambientalismo integralista e fanatico di chi non si lava per risparmiare acqua, non è l’ambientalismo ruffiano e parolaio di chi combatte lo smog chiudendo il centro tre domeniche l’anno. È qualcosa di più nobile e di più elevato: si occupa di cose serie, in modo serio.

A questi spacciatori di ideali, domani e domenica, potremo dare qualche euro per la causa (contributo libero). Un trancio di pizza in meno dentro l’outlet, per un affresco, un cornicione, un tetto strappato all’incuria e all’abbandono. È un buon investimento: magari non per noi, sicuramente per i nostri figli. Una volta almeno, abbiamo la possibilità di aprire l’animo su una questione vitale: la bellezza, risorsa primaria di questo benedetto Paese.

Facendo mente locale, scopriremo che Fai non è solo una semplice sigla: con minimo impegno, riusciremo tutti a leggerla come un’esortazione.

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