Emanuela Ronzitti
da Roma
Leffetto balsamico del comandante dei Ds, Piero Fassino non materializza gli effetti sperati. Da Nord a Sud (isole comprese) le urne sono andate deserte, con qualche punta positiva nelle regioni rosse. Alla chiusura dei seggi, alle ore 15 di ieri pomeriggio, il dato ufficiale del Ministero dellInterno parla chiaro. Solo il 25,9 degli aventi diritto ha espresso il proprio voto sulla Legge 40 in materia di procreazione assistita. Unecatombe che archivia questo referendum come un totale insuccesso. La macchina elettorale della Quercia non ha funzionato neppure nelle roccheforti delle cosiddette «regioni rosse».
Il raggiungendo del quorum (50% più uno degli aventi diritto), arriva soltanto a Piombino (in Toscana) e Paciano (in Umbria). Due feudi rossi dellItalia rossa. Una coppia che non concede neppure un sospiro di sollievo: rispettivamente: un risicato 50,7% e uno stiratissimo 50,3%. Una bocciatura a pieno titolo quella sul referendum che però mette, ancora una volta, in evidenza le differenze tra le due Italie.
Cè unItalia che ha votato di più ed è quella che corre lungo lappennino tosco-emiliano e cè lItalia delle grandi città dellex triangolo industriale e del centro che si accredita con 15 e 10 punti percentuali sopra la media nazionale. Poi cè il Sud - che pure aveva premiato il centrosinistra alle recenti regionali - che rompe gli schemi. Il presidente dei Ds non può neppure consolarsi con i risultati ottenuti nellEmilia Romagna che tra le regioni rosse incassa la media più alta di votanti: 41,6%. La Toscana si ferma di poco al di sotto del 40%, mentre delude moltissimo lUmbria: solo il 29,8%. Il Lazio - ora controllato dalla triade del centrosinistra con Gasbarra (Provincia), Veltroni (Comune di Roma) e Marrazzo (Regione) - fa da spartiacque con il 31,5% dei votanti. Pochi, troppo pochi in una regione totalmente sotto lombra della Quercia. La Calabria - dove pure ora governa il centrosinistra - è la regina, invece, dellastensione. Sono andati a votare in media il 12,7% degli elettori. Immancabili le reazioni politiche per tentare di trovare una giustificazione al flop post referendum. Marco Filippeschi segretario regionale dei Ds della Toscana parla di una «battaglia giusta con lo strumento sbagliato», sostenendo che il referendum è «un istituto logorato dalluso improprio che se nè fatto e della combinazione facilmente possibile fra lastensionismo fisiologico e quello intenzionale». Autocritica a scoppio ritardato. Tanto che Filippeschi non nasconde la delusione: «Il dato della Toscana, che spicca in positivo sugli altri non attenua questo giudizio». Il segretario regionale della Quercia resta convinto che lobiettivo ultimo sia ancora quello di cambiare la legge sulla procreazione. Ma cè anche chi evoca le debolezze delle forze di centrosinistra come il deputato diessino di Firenze Valpo Spini: «Paghiamo le pause e il mancato intervento dellUnione in questa materia». E ancora: «Una coalizione che si sente potenzialmente maggioritaria avrebbe dovuto puntare più sulla prospettiva - in vista delle politiche 2006 - di una proposta concordata ed organica per modificare la legge, piuttosto che un referendum abrogativo». Parole che arrivano da parlamentari eletti in una Regione che un tempo avrebbe dato il quorum. «Sapevamo che il quorum era difficilissimo da raggiungere- spiega Roberto Montanari segretario regionale Ds dellEmilia Romagna - ma dovevamo stare in campo per la difesa della dignità e libertà della persona, per la vita». Se le regioni rosse piangono, le grandi città non ridono.
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