Roma Fango, tritacarne mediatico, inaccettabili liste di proscrizione per cui basta trovarsi in un elenco per essere considerati colpevoli, macchiati dal sospetto e considerati ladri, privilegiati, Casta. Ansie di cappio da non alimentare, ma nessuna indulgenza o impunità per chi ha sbagliato. Il Pdl chiede «severità», per far capire che la sua «l» sta per «libertà» ma anche per «legalità». I finiani invece esultano. Giudicano il «cambio di passo» positivo e si spingono a sposare tesi più giustizialiste, tanto che il Secolo d’Italia ieri scriveva: «Una svolta, rispetto alla melina dei giorni scorsi... Il Cavaliere sembra aver compreso che gli italiani potrebbero non comprendere l’arroccamento su una linea anti-magistratura che in passato ha adottato ad ogni iniziativa delle procure gridando al complotto giudiziario». Il finianissimo Italo Bocchino, invece, svela di voler puntare direttamente allo spazio politico coperto da Di Pietro: «Il Pdl dimostri con i fatti di essere il vero Partito della Legalità, evitando che questi argomenti siano appannaggio della Lega nel centrodestra e dell’Italia dei Valori nel centrosinistra». E poi fa l’eco a Tonino: «Non si può derubricare tutto alla magica formula del “caso isolato”».
La richiesta di rigore morale che cresce nel Paese viene espressa dal presidente del Senato Renato Schifani che, dalla sua Sicilia, lancia il monito: «Non bisogna mai anteporre gli interessi personali al bene della comunità, facendo come nostra bandiera la trasparenza e l’onestà». Un discorso generale tradotto in fatti: «Per tali ragioni ho accelerato i tempi per l’approvazione del disegno di legge anti-corruzione, che spero possa diventare legge in tempi brevi». Giovedì Palazzo Madama inizierà a esaminare il provvedimento che prevede un inasprimento delle pene per i reati contro la Pubblica amministrazione nonché l’ineleggibilità alla carica di parlamentare per chi è stato condannato per reati contro la pubblica amministrazione. «Mi batterò in prima persona - assicura Schifani - affinché si crei una forte convergenza tra maggioranza e opposizione». C’è un brutto clima, è vero, ma attenzione a non fare di tutta l’erba un fascio. «L’attuale scenario profila un sistema di microcriminalità che purtroppo colpisce funzionari pubblici e politici, ma esiste una sostanziale differenza rispetto a Tangentopoli: quello era un sistema illecito di finanziamento destinato a un’intera partitocrazia». Il sistema non è marcio come negli anni Novanta ma non si può negare che nel cesto ci siano mele marce. Da allontanare.
Chi non si copre gli occhi di fronte alla necessità di far pulizia è il ministro della Gioventù Giorgia Meloni che entra nello specifico: «Il governo deve dare segnali chiari. La legge anticorruzione va rafforzata e approvata immediatamente». Non solo: «Ci vogliono pene più dure per i reati dei colletti bianchi e i politici vanno colpiti più degli altri». Si spinge oltre la Meloni: «Non candidabilità a vita per chi commette un reato nell’esercizio delle proprie funzioni, nemmeno in un consiglio comunale. E se la norma fosse incostituzionale, potremmo inserire questa clausola nello statuto del Pdl». La proposta è applaudita a scena aperta. Il partito ha voglia di anticorpi contro il malaffare: «Non ci possono essere zone d’ombra tra chi ha responsabilità politiche e amministrative - afferma l’europarlamentare Marco Scurria -. Soprattutto nel Pdl, partito dove deve albergare una rigida tenuta di valori morali». Lodi anche dalle deputate Barbara Saltamartini e Paola Frassinetti: «Inserire nello statuto del Pdl una clausola che impedisca la ricandidatura dei politici condannati sarebbe una garanzia in più per coniugare in modo concreto la linea indicata da Berlusconi».
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