La sua ultima apparizione pubblica risale al gennaio scorso quando, in una conferenza stampa a Palazzo Reale, era sorridente al fianco di unartista della sua scuderia appena nominata «ambasciatrice culturale» di Milano allExpo di Shanghai. Ieri la notizia dellefferato omicidio di Giovanni «Gianni» Schubert, fondatore e titolare della Galleria Arte Borgogna, è stata accolta con clamore nel mondo dellarte milanese. I resti del mercante, che aveva 76 anni anche se non li dimostrava affatto, sono stati ritrovati dalla polizia dentro sacchi di plastica in fondo al naviglio pavese. Lassassino, un trentaseienne milanese suo ex collaboratore nella galleria di via Visconti di Modrone, lo ha picchiato a morte dopo una furiosa lite, sembra, per questioni economiche. Sempre i soldi e sempre larte, del resto, furono allorigine di problemi legali che videro Schubert, cinque anni fa, coinvolto in uninchiesta per un giro di presunti falsi Schifano in una mostra alla Reggia di Caserta. Il gallerista milanese fu arrestato assieme a due mercanti romani con laccusa di associazione a delinquere finalizzata alla truffa, ma al termine del processo fu considerato completamente estraneo ai fatti. Fin qui la cronaca. Ma per il mondo dei collezionisti, degli artisti e dei critici milanesi, il nome Schubert è legato agli anni in cui Milano era una testa di ponte per le avanguardie dellarte contemporanea. Tra linizio e la fine degli anni Settanta, la galleria Arte Borgogna (che allora si trovava nellomonima via del centro) era uno dei cinque-sei spazi che in città dettavano tendenza, come Marconi, Stein, Swartz e la galleria del Naviglio. Schubert aveva un grande fiuto per il mercato ed espose artisti che sarebbero di lì a poco entrati nella storia, come quelli della cosiddetta figurazione narrative, come Arroyo, Jorn, Baratella e altri. Ma la sua galleria fu anche la prima a Milano a organizzare mostre per future star dellArte Povera come Luciano Fabro e Giulio Paolini. Via Borgogna divenne in quegli anni un crocevia di artisti e intellettuali e il magazzino di Schubert si arricchì di opere darte contemporanea che si sarebbero rivelate un patrimonio. Mostre «da museo», le definisce chi era suo compagno di viaggio, come quella delle sculture di Fontana o come lultima mostra a Milano di Pablo Picasso. Fernando De Filippi, direttore per ventanni dellAccademia di Brera, era uno degli artisti della sua scuderia. Sconvolto dalla notizia, ne ricorda le doti intuitive e commerciali: «Oggi a Milano sarebbe impensabile una mostra di Picasso in una galleria privata. Il suo successo era dovuto al fatto che quando scopriva un artista, comprava lintera produzione di opere e anche nei miei confronti si è sempre dimostrato onesto e affidabile». Ma non manca, nellambiente, chi ricorda anche vicende burrascose negli anni successivi, e controversie legali con artisti e collezionisti legate alla compravendita delle opere. Come quando diede vita allassociazione «Amici di Piero Manzoni» che editò un catalogo delle opere dellartista concettuale prematuramente scomparso. Quel catalogo fu al centro di grandi polemiche.
Il critico milanese Marco Meneguzzo, che ha di recente curato una grande mostra sugli anni Ottanta, ricorda: «Da quel periodo in poi si è occupato esclusivamente di mercato e con gli artisti aveva spesso rapporti che diventavano tormentati e che spesso sfociavano nella rottura per disaccordi economici». Problemi allordine del giorno, nel mondo dellarte italiana. Ma certo nessuno avrebbe mai potuto lontanamente immaginare che lex re delle mostre milanesi avrebbe fatto una fine tanto orribile.Schubert, il gallerista dei vip finito nei guai per i falsi Schifano
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