È una scienza esatta

Le dinamiche che governano biologia, economia, tecnologia e politica negano l’esistenza del fato. Lo spiegano in un saggio due docenti universitari

«Tutta colpa del caso...». «È accaduto casualmente...». «Una scelta casuale...». Quante volte lo abbiamo detto. Per scaricarci la coscienza, nel tentativo disperato di trovare un alibi buono per la nostro testa. E la nostra anima.
A svelare il bluff è ora la scienza: il caso non esiste. Ciò che avviene non è frutto del fato, ma di «calcoli» ben precisi che hanno a che fare con la statistica, la fisica e la biologia. Insomma, il caso come scienza esatta. L’esatto contrario della causalità intesa come «caratteristica di un fatto involontario e imprevedibile».
Può essere proprio questo uno dei punti di partenza per la lettura del libro curato da Giuseppe Lanzavecchia e Massimo Negrotti L’enigma del caso (Edizioni Goliardiche, pagg. 347, euro 19,80). Lanzavecchia, docente di Sociologia della Scienza, e Negrotti, direttore dell’Imes, Istituto Metodologico Economico Statistico, (entrambi titolari di cattedra all’Università Carlo Bo di Urbino) coordinarono nel settembre dell’anno scorso una conferenza internazionale dal titolo «Caso naturale, caso artificiale». Oggi gli atti di quel simposio si sono trasformati in un volume che - visto l’argomento trattato - sarebbe fin troppo facile definire un «caso» editoriale.
«La ricerca scientifica - spiegano gli autori - sta fortemente rinnovando l’interesse verso il “caso”, un tema che ha accompagnato con varie accezioni tutta la storia del pensiero». «L’interesse per la casualità - sottolineano i professori Lanzavecchia e Negrotti - è inoltre amplificato dall’emergere, da un lato, di teorie e, dall’altro, di fenomenologie concrete di vario ordine le quali paiono convergere sulla fisionomia complessa, molteplice, pluridimensionale e incerta di realtà fra loro diverse come la dinamica dei sistemi viventi e quella dei sistemi economici, le tendenze tecnologiche o quelle politiche».
Proviamo a tradurre in termini più accessibili: a differenza di quanto si crede comunemente, il caso è sempre «qualcosa» che si lascia misurare, calcolare, prevedere. Il caso, allora, potrebbe essere definito, sic et simpliciter, ciò che viene misurato dai test statistici. Problema risolto, quindi? Neanche per sogno: «È evidente - rispondono Lanzavecchia e Negrotti - che di fronte al problema del “caso” (esattamente come di fronte all’intelligenza) non è possibile trarre soddisfazione permanente e definitiva da una simile posizione».
E allora ecco che si torna al punto di partenza.

Con una domanda destinata a rimanere senza risposta: se fosse il Caso a gestire tutti gli eventi del mondo, come mai finora, con le sue infinite libertà di azione, non ha mai fatto resuscitare neppure una foglia, né ha mai costruito un barlume di vita?
Insomma, è proprio il caso di chiudere con la frase: il caso resta aperto.

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