Un migliaio di manifestanti da Cairoli, oltre diecimila da Oberdan, in mezzo la città, stretta nella morsa delle proteste contro la crisi economica e la manovra elaborata dalla maggioranza. Ordinato e senza incidenti il corteo della Cgil, indisciplinato e sempre sull’orlo di trascendere, quello dell’area radicale. Antagonisti e sindacato di base infatti dopo aver giocato a rimpiattino con le forze dell’ordine, hanno voluto chiudere in bellezza la giornata occupando piazza Affari. Dove comunque gli uffici della Borsa era stati chiusi per evitare nuovi occupazioni dopo quella di lunedì.
Come prassi da tempo, le manifestazioni della sinistra, o meglio delle sinistre, si svolgono ormai separatamente per evitare scaramucce e incomprensioni. Così dopo le 9, ai due capi della città, iniziavano a comporsi i diversi cortei al grido «ignoriamoci». In Oberdan la Cgil, che aveva organizzato lo sciopero generale, iniziava a raccogliere i propri iscritti in mezzo ai quali si mescolavano esponenti del centro sinistra. Fianco a fianco hanno dunque iniziato a marciare i segretari della Camera del Lavoro Onorio Rosati e della Cgil Fulvio Fammoni, gli assessori Pierfrancesco Majorino, Cristina Tajani e Daniela Benelli e il presidente del consiglio comunale Basilio Rizzo.
Contemporaneamente a Cairoli partiva l’area radicale, circa mille persone al grido «Ci vogliono schiavi ci avranno ribelli». Nel corteo infatti un gruppo di ragazze vestite da «schiave» veniva seguito da altri militanti con il passamontagna, i «ribelli». Quindi solito lancio di uova lanciate contro le banche: Unicredit in Cordusio, poi Banca Popolare di Novara, Euromobiliare e Monte dei Paschi in via Santa Margherita.
Dall’altra parte Cgil e centrosinistra invadevano corso Venezia per poi sfociare in Duomo dove gli organizzatori gongolavano trionfanti: «Siamo 50mila». Stima un po’ troppo ottimistica: la piazza, circa 15mila metri quadrati al netto di statua e palco, arriva a mala pena a tale cifra e solo se piena come un uovo. E ieri nel sagrato c’erano ampi vuoti. Mentre sul palco iniziavano a succedersi gli oratori, l’ultra sinistra sfociava in San Babila dove, invece che sciogliersi, iniziava a premere contro le forze dell’ordine per proseguire fino a Piazza Affari. E iniziava la solita trattativa. Per togliere i manifestanti dal centro la questura autorizzava un altro giretto, via Borgogna, San Damiano, corso Venezia per ritrovarsi al punto di partenza. Altro negoziato, tra un uovo e l’altro lanciato contro le forze dell’ordine, poi gli antagonisti, capendo di non poter sfondare, cambiavano tattica. E in piccoli gruppi, in metrò o a piedi, si incamminavano verso Cordusio.
Inseguire i manifestanti per il centro avrebbe comportato un danno eccessivo per la città, e il suo traffico già strangolato dalle due manifestazione. Così la questura «lasciava fare». Anche perché, per evitare la gazzarra di lunedì quando una decina gli antagonisti avevano occupato palazzo Mezzanotte e poi la piazza, l’edificio era stato sbarrato. Così verso mezzogiorno e mezzo, 3/400 manifestanti sbucavano in piazza Affari, tra insulti al Premier e slogan contro la manovra economica. Svariando nelle varie lingue: «Que se ne vajan todos», «Wake up» (sveglia), «People before profit», (il popolo prima dei profitti) che fa molto chic. Con il passare delle ore il gruppo si sfaldava e sfoltiva arrivando a non più di una cinquantina: i soliti «duri e puri» del Cantiere», il centro sociale più «alla moda» in città.
Gli antagonisti si installavano con tende, sediole e gazebo, improvvisando pic nic e partite di pallone, nella speranza di riuscire replicare il movimento degli «indignatos» spagnoli che per giorni avevano occupato con le loro tendine il centro di Madrid.
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