Casa Suraya è un'oasi verde in via padre Salerio, missionario del Pime che tornato dall'Oceania si è dedicato ai disagi di Milano. Siamo a Lampugnano e sembra una grande famiglia più che un centro profughi. Una situazione lontana dalle tensioni esplosive che deflagrano altrove. La portinaia è arrivata come rifugiata: adesso, per ricambiare, lavora. La casa, gestita da Farsi prossimo , è nata grazie alle suore della Riparazione: hanno offerto i locali per fare spazio a persone che fuggono da guerre, persecuzioni e dittature, spesso soprattutto per i propri figli.
Dal 20 giugno 2014, l'inaugurazione, sono passate 12.500 persone: quattro su dieci sono bambini sotto i dieci anni. «Speriamo che i nostri figli possano diventare persone libere. Vorrei farli studiare e crescere come tutti» dice la madre di due ragazzi, una bella donna del Congo, dove la guerra è scoppiata nel 1998. Gente che scappa da conflitti e non migranti economici: in base a Trattati internazionali, hanno diritto a essere accolti. Il problema è come, dove, soprattutto in quale modo evitare degenerazioni, conflitti, banlieux . È difficile, qui sembra possibile.
«Un luogo di civiltà», «un esempio», dice il cardinale Angelo Scola, che con il direttore Caritas, don Roberto Davanzo, l'ha scelto come posto da cui parlare di «accoglienza senza danno». Poche persone che si integrano, non enormi centri che invadono vite e abitudini di quartieri e intere città: validi per l'emergenza, non per il quotidiano. E così l'idea per i rifugiati è distribuirli in piccole quote, 4 o 5 per parrocchia o piccolo paese, così da non sconvolgere la vita di chi vive qui da tempo. Scola si mette dalla parte di chi accoglie: «Non ci si deve scandalizzare che molti nostri conterranei abbiano paura. Serve pazienza. È un momento di grande crisi e gravi cambiamenti. Questo è un problema in più che si aggiunge in maniera improvvisa. Si capisce la paura di molti cittadini. Ma la paura è cattiva consigliera».
Don Davanzo chiede a istituti religiosi e parrocchie di imitare le suore fondate da padre Salerio e mettere a disposizione locali, anche per tre o sei mesi: a farsi carico dell'organizzazione sarà la Caritas. Il cardinale rilancia il progetto: «Per mantenere ordine è una scelta più intelligente accogliere piccoli numeri in ogni singola realtà». Fin qui il buon samaritano, la Chiesa, i volontari, i cittadini. Ma tocca soprattutto alle istituzioni.
«Speriamo in una maggiore generosità» dice Scola.
Il cardinale racconta un fatto paradossale e cioè come un milione di euro che arrivano dall'otto per mille, stanziati dalla Diocesi per ristrutturare cento case dell'Aler, siano fermi «per difficoltà istituzionali, forse motivi tecnici, che non conosco». Manca un via libera dalla Regione. Scola incalza: «Come mai il progetto non va avanti da un anno? Non vogliamo tenere fermi quei soldi...».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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