Scolari in testa nel mondiale dei ct globetrotter

Portogallo agli ottavi dopo 40 anni: anche nel 1966 l’allenatore era carioca. Dujkovic e Ghana, ultima chance. Hiddink volerà in Russia

nostro inviato a Francoforte
Dopo Kakà, il migliore è lui: Felipe Scolari, il solo brasiliano che ha vinto e convinto. Ronaldo lo chiama amichevolmente Felipao e forse già lo rimpiange: con lui e grazie a lui ha vinto e disputato l’unico campionato del mondo in cui non gli è capitato niente, se non la ventura di conquistare il titolo e la qualifica di capocannoniere. Non male. Felipao, che ha discendenze nostre, è un globetrotter della panchina, come altri cinque-sei in questo campionato. Di tutti è il più sicuro e rassicurante per fare più strada. Direte: meglio giocarsela con il Portogallo piuttosto che con l’Australia o Trinidad e Tobago. Ma la classe da globetrotter si vede anche in queste cose. Il timbro dello specialista resta a Bora Milutinovic, lo slavo che ha guidato 5 squadre diverse in 5 diversi mondiali: Messico, Costa Rica, Usa, Nigeria, Cina. Bora era spettacolo nello spettacolo ed ha sempre ottenuto risultati adatti alla sua vena scanzonata e zingaresca.
Scolari potrebbe eguagliarlo, ma su grandi livelli: ha vinto con il Brasile, è arrivato agli ottavi con il Portogallo, nazionale che da 40 anni non approdava a questa quota. Il caso vuole che i corsi e ricorsi facciano capolino e magari speranza: anche nel 1966, in Inghilterra, la nazionale era guidata da un ct brasiliano. Si chiamava Otto Gloria, visto in foto una sorta di Fred Buscaglione lusitano. Il nostro cantava «Teresa non sparare», questo andava di samba con la sua squadra e faceva fuori avversari: Brasile, Ungheria, Bulgaria fino alla finale per il terzo posto, vinta contro l’Urss. Scolari, che ha fallito l’assalto all’europeo portoghese del 2004, ci sta facendo un pensierino e i portoghesi pure: a distanza di 40 anni si ritrovano con un ct che somiglia a quell’altro. Tutti e due pensavano a santi e astri, hanno lavorato tra le guerre interne del pallone portoghese, rivoluzionato la mentalità della nazionale e pescato grandi talenti: allora Eusebio, oggi Figo.
Scolari è il ct con il maggior numero di vittorie consecutive ai mondiali: 10 con ieri (7 col Brasile). Forse un po’ invidiato dagli altri giramondo. Prendete Otto Pfister, il sessantottenne tedesco che continua a cacciarsi nei guai: l’ultimo si chiama Togo. Gli altri sono stati Egitto, Tunisia, Burkina Faso, Senegal, Costa D’Avorio, Ghana. E chissà come se la caverà Ratomir Dujkovic, allenatore serbo che oggi si giocherà l’ultima chance con il Ghana. Se passasse il turno, potrebbe diventare l’allenatore dell’anno, avendo già compiuto metà dell’opera portando le Black Stars in Germania. Dujkovic è un vecchio bucaniere che ha girato per Ruanda, Birmania e Venezuela, prima di approdare alla panchina della squadra che, proprio con il Ruanda, aveva messo fuori gioco nella coppa d’Africa 2004.
Leo Beenhakker, invece, ha tentato l’impossibile con Trinidad e Tobago: non aveva promesso la finale ma un passo avanti. Grande allenatore, trascorsi fra Real e Ajax, Turchia, Arabia Saudita e Messico. Stavolta ha dovuto deporre le armi davanti ad un calcio con più tradizione e talento. Così come Henry Michel, il francese che vive a Beirut con moglie libanese, diventato giramondo dopo aver sofferto una storia finita male con la nazionale del suo Paese ai mondiali ’86. Da allora, si racconta, Michel non si è più ripreso ed è andato alla ventura su panchine improbabili che, però, lo hanno portato ai mondiali: Camerun nel ’94, Marocco nel ’98, stavolta Costa D’Avorio. Poteva starci anche il mondiale 2002 con la Tunisia, ma sbattè la porta sei mesi prima.
Cambiano le squadre, non cambia il fattore Hiddink, 60 anni e quattro lingue (oltre a un poco di russo e coreano) nel back ground, semifinalista con l’Olanda del 1978, una sorta di eroe in Corea del Sud con la quale conquistò la semifinale nel 2002. Stavolta gli basterà arrivare negli ottavi con l’Australia. Prima di partire per la Germania, novantamila persone si presentarono per assistere all’ultimo allenamento di una nazionale che inseguiva la qualificazione da 32 anni. Guus Hiddink, che ha la faccia di un simpatico zio beone, trasmette allegria e di sé dice: «Ho un solo segreto: il lavoro». È arrivato in Australia e ha visto un calcio da cow boy in attacco e il resto gran difesa. Lo ha trasformato e oggi si gioca con la Croazia la sua finale del mondiale.

Partita speciale per Viduka, il portiere del Milan Kalac, Popovic, Culina, Skoko e Sterjovski, la compagnia di razza croata naturalizzata in Australia. E se miracolo sarà, Hiddink comincerà a pensare alla prossima campagna: destinazione Russia.

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