Con la scomparsa di Milosevic più debole il governo serbo

E sul premier Kostunica si addensano nubi: prima il referendum sulla secessione del Montenegro, poi la conferenza sul Kosovo

Maurizio Cabona

da Belgrado

C’è stato in Italia l’effetto-morte di Berlinguer, c’è ora in Serbia l’effetto-morte di Milosevic. Un sondaggio rivela che sono a un 57 per cento, mai raggiunto, i consensi complessivi per i partiti di alternativa al sistema, come i radicali (nazionalisti) di Vojislav Seselj, detenuto all’Aia, e per partiti di semi-governo e semi-opposizione, come i socialisti (Pss).
La scadenza del Parlamento in carica sarà fra un anno e mezzo. Il primo ministro Vojislav Kostunica eviterà d’anticiparla, con simili previsioni. Ma gli eventi potrebbero costringerlo.
Infatti il 21 maggio si terrà il referendum sulla secessione del Montenegro: se prevarranno i favorevoli, la federazione Serbia-Montenegro non solo resterà senza quest’ultimo, ma anche senza sbocco al mare, dunque senza Marina militare. E questo è un problema anche italiano, visto che per giugno sono previste le manovre congiunte con la nostra Marina.
Il peggio, e il meno evitabile, verrà con l’autunno, quando finirà la conferenza di Vienna sulla secessione de iure, oltre che de facto, del Kosovo. L’esito pare scontato: la «comunità internazionale» vuole punire fino in fondo la Serbia, nonostante le fondate riserve italiane. Perso il Montenegro in primavera, in autunno la Serbia perderebbe anche il Kosovo, culla religiosa e culla storica. Tutto ciò senza alcuna compensazione, come consentire l’accorpamento alla Serbia della Repubblica Serpska.
Così emerge sempre più che la morte oscura di Milosevic è stata la «migliore» per lui - ne ha fatto l’Allende dei Balcani - e la peggiore per i suoi nemici. Implicitamente hanno dovuto riconoscerlo giornali e telegiornali fatti a Belgrado, ma orientati secondo interessi solo relativamente serbi.
Le stesse testate che, nella scorsa settimana, approvavano il rifiuto dei funerali di Stato per Slobodan Milosevic, non capendo che così gli offrivano funerali di popolo; le stesse testate che, alla vigilia, non davano risalto alla commemorazione organizzata per sabato dal Pss, davanti ai cinquantamila partecipanti almeno, ieri hanno dovuto accettare la realtà e mettere in prima pagina le foto della folla immensa e commossa. Dunque Belgrado crede alle lacrime, più che ai proconsoli dell’Osce e ai loro portavoce. Oggi e solo oggi s’è aperto il dopo-Milosevic, perché anche dal carcere dell’Aia «Slobo» aveva un ruolo determinante, fino a guidare il Pss nella rimonta, concretizzata nel sostegno esterno all’attuale governo, quello - in carica da tre anni - di Kostunica.
Proprio Kostunica, colui che nel 2000 aveva rovesciato Milosevic. Anzi, in caso di nuovo governo, non sorprenderebbe che il Pss chiedesse legittimamente almeno un ministro, limitando l’area di manovra già esigua di Kostunica, quando si tratterà di prendere atto che il Kosovo è perduto. Fra i più accreditati eredi di Milosevic alla guida del Pss, il vice-segretario Milorad Vucelic mi dice che il suo modello per il Kosovo è ora «quello dell’Alto Adige». Una buona soluzione, ma sa anche lui che sarà respinta.
Una volta indipendente il Kosovo, caso mai, potrebbe accadere una pericolosa inversione del modello. Cioè che Berlino e Vienna «propongano» a Roma d’applicare il nuovo modello Kosovo in Alto Adige: insomma, di subirne la secessione. Fantapolitica? Il cadavere del «moderato» capo kosovaro Ibrahim Rugova si muoveva ancora che già Bolzano e dintorni entravano in fermento. In altri periodi è bastato aprire la borsa per chiudere le vertenze, ma oggi non la si può aprire oltre (l’Alto Adige trattiene il 90 per cento del suo reddito).
Peggio: l’Adriatico del 2006 evoca quello del 1906, con Slovenia e Croazia anti-italiane e filo-germaniche.

Quindi è bene che la Marina militare serbo-montenegrina non diventi solo la Marina militare montenegrina. Perciò è meglio che il Kosovo non s’avvicini ancora a un’Albania, che per l’allargamento del Consiglio di sicurezza dell’Onu, non propendeva per l’Italia, ma per la Germania.

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