È scontro sul crocifisso nei seggi elettorali

Un responsabile di sezione si giustifica autoproclamandosi «comunista». Tajani: «Quanta intolleranza»

Francesca Angeli

da Roma

Via i crocifissi dai cinque seggi di Cornuda nel Trevigiano e da una sezione di Fornole, frazione di Amelia, per volontà dei presidenti di seggio. Viceversa un elettore di Senigallia, Ancona, si dichiara «impossibilitato a votare» per la presenza del crocifisso nella sede elettorale e ne chiede la rimozione. In questo caso però è il presidente del seggio a rifiutarsi di imporre un trasloco anche se soltanto temporaneo al simbolo religioso. Finisce che il cittadino simpatizzante dell’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti non vota e pretende sia messa a verbale tutta la vicenda.
Non è bastata la sentenza del Consiglio di Stato del 15 febbraio scorso a chiudere definitivamente la questione della presenza del Crocifisso nei luoghi pubblici che invece continua ad essere oggetto di polemiche e contese. È vero che quella sentenza riguardava in particolare le aule scolastiche, riferendosi al ricorso di una signora finlandese residente a Padova, che aveva chiesto di togliere il crocifisso dalla scuola frequentata dal figlio. I giudici però, nel respingere la richiesta della donna, avevano anche fissato principi che possono valere per qualsiasi ufficio pubblico. Il Consiglio di Stato stabilì che il crocifisso non deve essere necessariamente rimosso perché «ha una funzione simbolica altamente educativa» e rappresenta in modo idoneo «l’elevato fondamento dei valori civili, che sono poi i valori che delineano la laicità nell’attuale ordinamento dello Stato». Attraverso l’esposizione del crocifisso secondo i giudici di Palazzo Spada vengono espressi «valori di tolleranza, di rispetto reciproco, di valorizzazione della persona» che «connotano la civiltà italiana».
E ora, dato che i seggi elettorali vengono sistemati nelle scuole, dove per l’appunto si trovano i crocifissi, la polemica si è riaperta perché la rimozione del simbolo religioso ha provocato l’immediata reazione dei rappresentanti del centrodestra.
Nel caso del comune trevigiano di Cornuda la richiesta di un cittadino in un singolo seggio ha poi di fatto provocato la rimozione del crocifisso in tutti i seggi. Di fronte alle rimostranze del capogruppo di Forza Italia in regione, Remo Sernagiotto, che chiedeva di non togliere il crocifisso il sindaco ha replicato che la sentenza del Consiglio di Stato riguardava le aule scolastiche e il discorso cambia quando queste diventano sede elettorale. A Fornole in provincia di Terni invece è stato il presidente di seggio a prendere l’iniziativa provocando la reazione del consigliere regionale azzurro Raffaele Nevi che ha denunciato il fatto al prefetto e ai carabinieri. «Questo signore (il presidente di seggio, ndr) si è presentato al seggio autoproclamandosi di Rifondazione Comunista - spiega Nevi - poi d’imperio ha fatto togliere il crocifisso dal seggio perché ha detto che avrebbe potuto orientare il voto. Abbiamo risposto con una denuncia ai carabinieri». Il gesto del presidente di seggio poi è stato sconfessato anche dal responsabile locale di Rifondazione, Alberto Sabatini, che ha tenuto a specificare che l’uomo non era mai stato iscritto al suo partito.
Per il senatore dell’Udc, Maurizio Ronconi, togliere il crocifisso è «un segno d’intolleranza» e per Andrea Ronchi, portavoce di Alleanza nazionale, dimostra «ancora una volta quanto la sinistra sia antidemocratica, anticlericale e illiberale». Nessuno mette in dubbio la laicità dello Stato, dice Filippo Ascierto di An, «ma non crediamo ci sia nulla di male a esporre il crocifisso. Vogliamo che i cittadini vengano a conoscenza dei fatti perché siano così messi in condizione di capire come ragionano gli uomini di questa sinistra».


La vicenda di Amelia per l’azzurro Antonio Tajani «dimostra quanta intolleranza ci sia nei seggi da parte di chi dovrebbe garantire il regolare svolgimento delle elezioni». Il coordinatore di Forza Italia, Sandro Bondi, non riesce a rimanere indifferente «di fronte ad un atto che costituisce un’offesa intollerabile per tutto il popolo italiano».

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