lo scontro sulle intercettazioni

da Milano

Il paragone è suggestivo: «C’è stata una, mi si passi il termine, mitizzazione delle intercettazioni, così come del Dna nelle inchieste per omicidio. Ma questi strumenti vanno maneggiati con cura, con cautela. Invece... ».
Invece, dottor Gennari, ci sono stati abusi?
«La parola abuso non mi piace».
Parliamo di forzature?
«Forzature o anomalie».
Giuseppe Gennari, il gip di Telecom e giudice a latere di Parmalat, è nel suo ufficio con vista sulla Madonnina. Cominciamo col dire che il codice prevede le intercettazioni quando sono assolutamente «indispensabili».
È sempre così?
«È già curioso, molto italiano, questo modo di rafforzare le parole. Perché quell’avverbio davanti all’aggettivo indispensabile?»
In pratica, che succede?
«In pratica la polizia o i carabinieri fanno una bella informativa al pm - e questo capita per moltissime inchieste - e gli scrivono: abbiamo scavato, queste sono le persone sospettate della tal cosa, questi i loro telefoni, intercettiamoli».
Poi?
«Poi il pm fa il passacarte, a buon fine s’intende, e gira la richiesta al gip».
Che firma?
«Un attimo: è il gioco delle parti. Il pm tira l’acqua al suo mulino, che poi è quello della lotta al crimine, e forza il codice. Tocca poi al gip bilanciare le diverse esigenze. Io per esempio recentemente non ho autorizzato le intercettazioni in un’indagine delicata che riguardava gli aborti clandestini svolti dai cinesi a Milano. Il pm sosteneva che erano coinvolte alcune minorenni».
Lei ha deciso diversamente?
«Sì, l’ho rinviato alle indagini tradizionali, ma mi rendo conto che il confine è sottile».
In che senso?
«Le intercettazioni possono essere concesse per reati che prevedono una pena di almeno 5 anni. È chiaro che ci sono tanti escamotage per arrivare ai cinque anni».
Per esempio?
«Il Pm contesta una certa aggravante che in teoria fa lievitare la pena e il Gip a quel punto ha la possibilità di concedere l’intercettazione».
Oppure?
«Oppure, è successo anche questo, il Pm indaga su certi abusi edilizi, ma poiché le persone nel mirino sono tre, ecco che contesta l’associazione a delinquere e così può intercettare».
Risultato?
«Che le intercettazioni esplorative diventano un po’ come la pesca a strascico: si perlustra e poi si vede cosa salta fuori. In questo senso è bene riguardare alcune delle indagini condotte da famose Procure negli ultimi anni».
Inchieste che spesso servono ai giornali per raccontare dettagli personali magari piccanti su questo o quel vip, ma di fatto non arrivano a nulla.
«Il codice prevede, in teoria, una fase di scrematura alla fine delle indagini: pm e gip dovrebbero togliere di mezzo quelle non pertinenti. Ma questa fase è sostanzialmente abolita».
Abolita?
«Sì, per mille ragioni, perché ci sono tanti adempimenti, perché il nostro codice è complicato o, banalmente, perché è più comodo fare così. Di fatto tutto finisce nel calderone, ovvero sui giornali».
Come utilizzare allora le intercettazioni?
«Certe volte se ne può fare a meno, dilatando le indagini tradizionali, come il pedinamento. Attenzione: si va in questa direzione se si danno maggiori poteri e mezzi alle forze di polizia».
Per il resto?
«Altre volte “spiare” certi soggetti serve per integrare le inchieste sul campo. È un lavoro complementare, da affiancare a quello cosiddetto all’antica. Ci sono però casi in cui senza l’intercettazione non si va da nessuna parte. E si combatte il nemico con armi spuntate».
Quando?
«Spesso quando si ha a che fare con omicidi o traffico di droga.

Per questo io dico: stiamo attenti a non passare da un eccesso all’altro. E non dimentichiamo che ci confrontiamo con contesti criminali in cui vige la legge dell’omertà ed è difficilissimo andare avanti senza ascoltare decine di telefonate o conversazioni di più persone».

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