Roma - Dal Piemonte alla Sicilia, dalla Campania al Trentino, dalla Liguria alla Sardegna. Persino nella Roma (già) veltroniana, dove il potente ex assessore all’Urbanistica di Walter, Roberto Morassut, non riesce a diventare segretario del partito del Lazio per le feroci resistenze di rutelliani e diessini. E fin dentro il cuore delle regioni rosse, con le lotte intestine per la successione al sindaco Domenici che lacerano Firenze e con una Bologna dove tra pochi mesi – i prodiani, che in città contano, se ne dicono certi – «rischia di ripetersi il caso Guazzaloca», una sconfitta simbolica epocale. «Lo sai che rischiamo di perdere Bologna?», ha chiesto nelle settimane scorse il prodiano Andrea Papini al vice segretario Pd Dario Franceschini. «Lo so, ma che ci possiamo fare? Cofferati è Cofferati», racconta di essersi sentito rispondere.
Walter Veltroni, sulle dune di Sabaudia, cerca di godersi l’ultimo scampolo di vacanze e per ora tace, rinviando ai prossimi appuntamenti di partito, a cominciare dalla Festa democratica di Firenze. Ma il suo Pd, in questo scorcio di fine estate, sembra un vespaio impazzito, il campo di battaglia di una serie infinita di guerre feudali e scontri tribali. I focolai sono innumerevoli: apparati locali di partito contro sindaci e presidenti di Regione; correnti in lotta tra loro; battaglie sotterranee ma furibonde tra aspiranti candidati alla prossima tornata elettorale. Il Pd, per citare uno dei principali protagonisti di questi giorni, Sergio Chiamparino, «rischia l’implosione». E anche un veltroniano di prima linea come Giorgio Tonini lancia un allarme da brivido: «Se non la smettiamo, si stanno creando le stesse condizioni che hanno portato alla fine del governo Prodi e alla dissoluzione dell’Unione». Solo che stavolta non ci sarebbe nessun alleato irresponsabile con cui prendersela, tutto si consumerebbe in casa Pd.
Arturo Parisi, oppositore indefesso del segretario democratico, insiste a chiedere un congresso anticipato che faccia chiarezza su leadership e linea politica, «per il bene dello stesso Veltroni», spiega il parisiano Monaco. Altrimenti, se si tiene il Pd «a bagnomaria in attesa delle Europee quale improprio surrogato di congresso», il partito va verso «il suicidio politico differito».
Già, la sensazione diffusa è che sia Veltroni sia quelli che vengono visti come i principali referenti della fronda anti-Veltroni, a cominciare da D’Alema, puntino a temporeggiare fino alle Europee del 2009. Con obiettivi diversi: Veltroni perché pensa che il momento più nero per l’opposizione sia questo, e che d’ora in poi la situazione non possa che migliorare: «Il governo comincia a perdere colpi e popolarità, la maggioranza a dividersi e litigare: nei prossimi mesi non potrà che andare peggio davanti ai problemi reali, da Alitalia al federalismo fiscale alla crisi economica», ripete ai suoi. Convinto dunque che alle Europee il Pdl sarà penalizzato e il Pd non potrà che guadagnarne: tanto più che la sconfitta di Vendola e Bertinotti nel Prc ha sepolto i soggetti unitari di sinistra, e il Pd può recuperare socialisti, verdi e Sd.
Gli anti-veltroniani, invece, puntano a tenere Veltroni a bagnomaria nella convinzione che le Europee e soprattutto le amministrative andranno male, e a quel punto il segretario dovrà assumersi la responsabilità della nuova sconfitta. Ma c’è anche chi teme che la situazione possa precipitare prima: a ottobre si vota in Trentino, e il Pd (anche lì diviso, in due liste) rischia di perdere la provincia autonoma che controlla da molti anni. E poco dopo ci sarà il voto anticipato in Abruzzo: la sconfitta del centrosinistra, dopo la decapitazione per via giudiziaria della giunta Del Turco, è data per certa. Ma potrebbe diventare più dolorosa per Veltroni a causa di Antonio Di Pietro.
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