da Milano
La storia d’Italia vista col cannocchiale del politico di razza. Nel suo ultimo libro, Italiani sono sempre gli altri - scritto insieme a Pasquale Chessa e in uscita da Mondadori - Francesco Cossiga passa con disinvoltura da Cavour a Mussolini e Giolitti per spingersi poi su su fino all’era democristiana e ai piccoli grandi misteri che ne sono l’inevitabile corredo. C’è il capitolo, drammatico, relativo al sequestro Moro e ci sono pagine, sorprendenti, che aprono squarci sui cieli poco limpidi della nostra politica estera.
L’ex presidente della Repubblica ricostruisce in particolare la sofferta crisi di Sigonella, dell’ottobre ’85, e mostra la coda davvero impensabile di quel drammatico confronto con gli americani: tre mesi dopo, a gennaio ’86, Craxi, saputo in anticipo dell’imminente raid americano su Tripoli, avvertì Gheddafi, «mettendolo così al sicuro». «Se fosse vera, la vicenda - prosegue Cossiga - confermerebbe l’autonomia assoluta dell’Italia sulle faccende mediterranee e arabe». E se è così dev’essere riletta anche la rappresaglia libica: Tripoli, come risposta al bombardamento, lanciò dei missili contro Lampedusa che fortunatamente caddero in mare. In realtà quella reazione fu un semplice bluff «per coprire gli amici italiani agli occhi degli americani». Fu davvero così? Il presidente emerito ne parla al condizionale, perchè il retroscena gli arriva da Bobo Craxi, il figlio di Bettino, e però l’episodio mostra i limiti e i pregi del doppio binario perseguito per anni da Craxi e Andreotti nelle relazioni internazionali: un solido legame di amicizia con gli americani, ma senza compromettere le ottime entrature nel mondo arabo.
A Sigonella era andato in scena lo stesso copione: il governo italiano si rifiutò di consegnare alle forze speciali statunitensi i cinque terroristi, capeggiati dal leader del Fronte per la Liberazione della Palestina Abu Abbas, che avevano dirottato l’Achille Lauro e ucciso un passeggero ebreo-americano. «La volontà di Craxi di non consegnare Abbas - sostiene Cossiga - era dettata dalla necessità di non disperdere il credito politico che l’Italia aveva nei confronti dei palestinesi e del mondo arabo in generale». Una questione strategica, dunque. Mescolata, come sempre accade in queste vicende, ad altri elementi, contingenti ma a loro modo decisivi: «Secondo Giulio Andreotti gli italiani non erano informati del ruolo di Abbas semplicemente perchè gli americani non portarono alcun elemento a suo carico. Gli Usa avevano infatti appreso della vera natura di Abbas dai servizi segreti israeliani e, vincolati dalla “necessità di sapere”, non potevano rendere noti gli elementi di prova raccolti».
Risultato: Abu Abbas «partì poi da Roma e trovò rifugio nell’Iraq di Sadam Hussein, dove morirà nel 2003». Ma la complessità della tela tessuta da Craxi e Andreotti, e in certa misura il loro doppiogiochismo, «non danneggiò i rapporti positivi fra Reagan e Craxi che si ricomposero quasi subito».
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