Alla scoperta del Sudafrica con Luvo

D ire che il Sudafrica sia un Paese emergente nel mondo del vino è suggestivo ma non corretto. Il Sudafrica è l'ottavo produttore mondiale in termini di quantità e l'enologia è praticata da tre secoli e mezzo; e se i vini che arrivano dalla punta meridionale di quello che un tempo si chiamava «continente nero» sono da noi ancora poco conosciuti è soltanto perché la loro diffusione mondiale è stata per lungo tempo penalizzata dalle sanzioni economiche che gravavano su quel paese a causa delle politiche di apartheid che vi si praticava.

Ed è proprio grazie alla fine di quella odiosa discriminazione razziale se nel vitalissimo Sudafrica sono potute emergere figure come Luvo Ntezo, che a 36 anni appena compiuti è considerato uno dei migliori sommelier al mondo e che racconta con tenerezza il suo approccio al vino quando, da dipendente di un grande albergo, si trovò ad aprire una bottiglia di vino e non ci riuscì, finendo per chiedere aiuto agli stessi clienti. «Il giorno dopo ero dal winemaker John Loubser a chiedergli di insegnarmi tutto ciò che c'era da sapere sul vino». E Luvo ha imparato davvero bene e nei giorni scorsi è stato a Milano, dove ha presentato alcuni vini sudafricani da lui selezionati nel corso di un pranzo-degustazione organizzato al Paper moon di via Bagutta dalla One&Only, compagnia sudafricana di magnifici resort in tutto il mondo di cui Luvo è il sommelier capo. I vini assaggiati nell'appuntamento milanese erano di Marianne, una «boutique wine farm» che si trova ai piedi dei monti Simonsberg, che produce vini con un tocco francese, come punto di incontro del vecchio e del nuovo mondo enologico.

Abbiamo provato un rotondo Merlot, un nervoso Pinotage (varietà autoctona sudafricana frutto dell'incrocio tra Pinot Nero e Cinsaut), un sensuale Shiraz e un sontuoso Floreal 2006, blend di Merlot, Cabernet Sauvignon e Shiraz.

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