Ho sinceramente apprezzato la «doppia mossa» con la quale Gianfranco Fini ha riaperto il dibattito sul futuro del centrodestra. Prima ha fornito una lucida fotografia post-elettorale sostenendo giustamente che la prospettiva del partito unitario si era «oggettivamente allontanata». Poi, dalla fotografia, è passato al cinema: e quella stessa prospettiva l'ha «soggettivamente riavvicinata» con il recente documento dell'esecutivo di An che è un contributo di grande rilievo per l'evoluzione del bipolarismo italiano. Questa «doppia mossa» è paradigmatica della serietà con la quale nel centrodestra si deve affrontare la necessità di costruire, tutti insieme, una fase storica più avanzata dell'esperienza della Casa delle libertà. In altri termini, confrontarsi davvero con il tema del partito unitario significa rifiutare sia la tentazione delle scorciatoie velleitarie sia il pigro e miope immobilismo conservatore. Alleanza nazionale ha evitato entrambi questi rischi indicando nelle elezioni europee del 2009 il traguardo concreto di un approfondito percorso di maturazione collettiva.
Sono tre, a mio modo di vedere, i più importanti messaggi che il documento di Fini consegna alla riflessione dell'intero centrodestra. 1) L'orizzonte europeo. È questo l'unico, vero metro di giudizio per valutare la serietà dei processi di aggregazione politica nazionali. An può ormai legittimamente considerarsi parte della grande famiglia popolare europea perché la sua politica internazionale, la sua filosofia economica e sociale, l'impianto della sua identità culturale fondata sul primato della persona, ormai ampiamente corrispondono al quadro di valori e di programmi del Ppe. An non bussa, dunque, alla porta di una casa estranea: ambisce solo al riconoscimento formale di una coabitazione che nella sostanza è già nei fatti. E se Forza Italia, An e Udc si riconoscono insieme nel Ppe, il partito dei moderati italiani è già pronto, per lo meno nella sua dimensione europea. Tanto per essere chiari, a sinistra non si può dire la stessa cosa. Nei Ds e nella Margherita, i fautori del Partito Democratico si devono arrendere alla circostanza di non poter, almeno per ora, scegliere la stessa casa europea: segno di differenze ideali ancora assai dure da superare e che costituiscono la causa prima delle immediate lacerazioni politiche patite dal governo Prodi. L'Europa, dunque, divide il grano dal loglio. È grano ciò che sta maturando nel centrodestra. È loglio ciò che si agita nell'Ulivo.
2) Il popolo delle libertà. Il documento di An rende ufficiale nella letteratura politica italiana ciò che è avvenuto con le ultime elezioni politiche. Un tempo esisteva solo il «popolo di sinistra» con le sue ideologie, i suoi valori, i suoi consolidati luoghi comuni. Le elezioni di aprile hanno reso evidente, per la prima volta, l'epifania di un «popolo di centrodestra» unito nei valori e nei programmi, animato da una grande consapevolezza della propria identità culturale. Finora la storia italiana non aveva reso possibile un fenomeno simile. I moderati venivano semmai considerati «maggioranza silenziosa». Oggi invece è possibile cominciare a parlare di «militanti moderati», di gente che ha voglia di impegnarsi nella società per affermare ciò in cui crede. L'identità storica dell'Occidente, i valori della tradizione cristiana e dell'umanesimo laico, il senso della patria e della nazione, la modernizzazione liberale del Paese: sono solo alcuni dei tratti distintivi di un popolo che prima non aveva voce. Questo popolo continua certo a votare per i singoli partiti ma si identifica comunque con quel «tutto» che è chiamato centrodestra. E mal sopporterebbe che venisse messa a repentaglio un'unità che, prima ancora che politica, è culturale e morale, segno di una nuova comunità italiana popolare, liberale, nazionale, riformista. Una comunità di laici e di cattolici che, insieme, vogliono andare oltre vecchi steccati ideologici.
Se questo è vero è del tutto evidente che ogni «ristrutturazione» della Casa delle libertà, sia in termini di leadership che in termini di identità, non può che essere immaginata «in continuità» con l'esperienza storica di quest'ultimo decennio nata dalla iniziativa di Silvio Berlusconi. Invocare discontinuità rispetto a questa storia significa voler introdurre fratture artificiose nel «popolo delle libertà». Mai come in questo momento vale per il centrodestra la regola aurea di ogni buona politica. Un futuro positivo può nascere solo da una matura evoluzione del passato: mai in contrapposizione con esso. Perciò, dopo il Polo delle libertà e la Casa delle libertà, la terza fase della storia del centrodestra non può che chiamarsi Partito delle libertà, un partito dei moderati e dei riformisti che, collegato al Ppe, in alleanza federativa con la Lega, rappresenti il partito italiano di governo del XXI secolo. Il partito del «popolo delle libertà».
3) I tempi. La parola chiave non è «fretta», ma «serietà». Fa dunque bene An a dire che il partito unitario è il punto di arrivo, non il punto di partenza. Fa bene a porre la scadenza del 2009, mettendo in conto tre anni di lavoro comune. Non dobbiamo gareggiare sui cento metri. Non abbiamo di fronte però neanche i diecimila metri. Mezzofondo: è questo il passo giusto. Per un semplice motivo: la costruzione del nuovo soggetto politico deve avvenire entro il tempo politico segnato dalla storia della Casa delle libertà. Viceversa, esso rischia di non vedere mai la luce. In altri termini, se la nostra storia non troverà la sua compiuta evoluzione politica in questa legislatura, è presumibile che essa finirà per consumarsi in nuove divisioni e lacerazioni, mettendo in discussione ciò che oggi chiamiamo centrodestra e, forse, persino il bipolarismo. Il 2009 è allora il giusto punto di arrivo. Ma perché questo traguardo venga rispettato bisogna che, fin dalla ripresa autunnale, i partiti interessati lancino un chiaro segnale che il cammino unitario riprende. E facciano ripartire il progetto avviando un serio lavoro di preparazione sul territorio. L'Assemblea Costituente ha già predisposto una comune «Carta dei valori» (mentre a sinistra ancora la vagheggiano).
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