Scritte sui muri a Chinatown: il leghista Salvini sotto scorta

Il ministro Amato: «Gli autori sono quelli del centro sociale “Il Cantiere”»

Offese, avvertimenti e minacce a colpi di spray. Scritte sui muri di piazza Gramsci che mettono nel mirino Matteo Salvini. Gli autori sono gli autonomi del Cantiere di viale Monte Rosa, quelli vezzeggiati dal centrosinistra in salsa ambrosiana.
A rivelare la firma di quei graffiti - che non portano alcuna sigla ma solo il simbolo del fulmine in mezzo a un cerchio - è il ministro dell’Interno, Giuliano Amato. «Gli autori sono stati identificati come appartenenti al centro sociale “Il Cantiere” e deferiti all’autorità giudiziaria per minacce aggravate» rivela il ministro. Che definisce l’episodio «brutto e inquietante» perché, attenzione, «identifica una singola persona come bersaglio di autentiche minacce». Sì, quelle scritte rappresentano un’autentica minaccia per il capogruppo della Lega a Palazzo Marino. Motivo che suggerisce, aggiunge il ministro Amato, «una misura di vigilanza mobile presso l’abitazione di Salvini». Anzi, la «misura è già stata disposta» chiosa Giuliano Amato, anche se Salvini rivela di «non saperne niente»: «È una sorpresa scoprire di essere sotto vigilanza. E di esserlo perché reclamo la legalità, sia rispetto al tema dei rom che a quello di Chinatown». Come dire: Salvini è diventato il bersaglio dei no global perché pretende il rispetto delle regole in quell’area di via Paolo Sarpi e dintorni divenuta enclave meneghino della Repubblica Popolare Cinese.
«Se restituire un quartiere di Milano ai milanesi è un problema per qualcuno, se dà fastidio a chi blatera di razzismo e meticciato e intanto vive sulle spalle di mammà e papà, be’ avverto che non fanno paura a nessuno e che andremo avanti, tireremo dritti per la nostra strada». Dichiarazione accompagnata da una «passeggiata padana» al civico 15 di via Broni, zona Ripamonti. Visita «guidata» a un’area dismessa occupata da un centinaio di rom: capannoni industriali che cadono in pezzi trasformati «in discariche, o in loft per disperati» illustra Salvini: «Esempio di una delle sessanta e più zone franche a dieci minuti dal Duomo. Se dovessi votare per dare l’Expo a Milano e avessi visto via Broni, voterei no. Se invece fossi il sindaco di Milano andrei di corsa in Questura per reclamarne lo sgombero immediato, senza perdere neppure un minuto».
Ma Salvini non è il sindaco e neppure il proprietario di quell’area, «per tre volte ne ha già chiesto lo sgombero in attesa che avvenga la trasformazione di destinazione d’uso da zona industriale a residenziale».

E mentre il pasdaran del Carroccio invita «Letizia a battere i pugni sul tavolo», l’assessore regionale Davide Boni annuncia «la creazione di un tavolo di lavoro sulle aree dismesse, coinvolgendo il Comune, per monitorare e intervenire sulle aree abbandonate, sia pubbliche che private». Misura urgente, come quella decisa dal ministero degli Interni per proteggere il leghista Salvini dalle minacce degli autonomi pro-Br.

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