Scritti d’autore

L’arte di Andrea Martinelli è antica, magistrale e irrispettosa. Resiste fiera alle interpretazioni, ai confronti, alle similitudini. È un’arte ignorante e monacale; forse sprezzante, raffinatissima. L’abilità con cui Martinelli disegna e dipinge le persone - i volti soprattutto, ma anche i loro corpi vestiti – è evidente come un grido e forte come un insulto, eppure è anche gentile e silenziosa come il suo autore. Nelle chiese, vorrei vederla. Mai ti chiede di stupirti o di scandalizzarti. Mai ti chiede: ti si porge. Pur essendo colma di particolari, non si cura del particolare, che l’artista medita meticolosamente, senza mai raccontarti che il fulcro della sua arte stia lì, in una mera, sapientissima accumulazione di dettagli. Un dipinto di Martinelli, infatti, non ti fa venir voglia di osservare subito da vicino il singolo tratto, la singola pennellata, di apprezzarne la precisione, la maestria. Ti accorgi che è un’occupazione successiva e minore. Forse anche vana, forse anche inutile.
C’è sempre di più da guardare, in un quadro di Martinelli. È un’arte che si allontana mille miglia dal dipingere il reale o l’irreale. Non denuncia, non indaga, non vuole svolgere nessuna critica sociale; non somiglia all’arte di nessuno dei suoi contemporanei. Non si lascia spiegare con l’esposizione bambinesca della sua complessità. Non dipinge conseguenze, Martinelli. Non è interessato a raccontare, dunque dipinge come dipingevano i grandi: solo, eppure bagnato dell’ingenuità sublime che lo porta sempre a mirare il traguardo più alto, da Prato, senza cercare amicizie, aderenze, favori o padrini. E a noi che guardiamo toglie ogni appiglio narrativo, ogni possibile distanza concettuale dal soggetto. Mentre ci costringe a guardarli e ad apprezzare la sua bravura, diventa ovvio che i volti dei suoi vecchi o dei suoi freak non sono davvero la rappresentazione di un soggetto. Non vuole davvero dipingere loro, Martinelli, e invece sembra voler cercare di dipingere la vita, senza mai sentire il bisogno di dir nulla su di essa, se non mostrarla. Che poi è molto, moltissimo. È il lavoro del pittore.
Lo ammiro per l’enormità e la sconsideratezza della sua sfida artistica, che lo porta a trovare i suoi padri e i suoi referenti solo nei grandissimi del passato.

È una lotta silenziosa col demone della grande pittura, che Martinelli affronta colmo di un’ambizione timida e della serenità dei coraggiosi, immerso nel tempo infinito dei mesi che richiedono i suoi quadri per nascere, dominato dalla puntigliosità folle del suo voler disegnare e dipingere davvero, oggi.

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