La scrittrice che sfida i luoghi comuni

«Papà originario del Kerala, a 18 anni venne qui a studiare medicina. Mamma, milanese e giornalista»

La scrittrice che sfida i luoghi comuni

La prima cosa che colpisce nell'appartamento milanese di Gabriella Kuruvilla sono le fotografie. Una in particolare, dove si vede un signore indiano alto e distinto dall'incarnato scuro e i capelli grigi. In braccio, uno splendido bambino, castano, pelle chiara, occhi verdi. Sono nonno e nipote, rispettivamente padre e figlio di Gabriella, la bella scrittrice nata a Milano nel 1969 da quella che i francesi chiamano una mésalliance, ossia un matrimonio fra persone di cultura, stato o religione diversi. Suo padre Stephen viene dal Kerala, India del sud, da una famiglia di proprietari agricoli di fede cristiana. «C'era anche uno zio vescovo - ricorda Gabriella, pelle nocciola, occhi espressivi -. La famiglia di mio padre, stimata e benestante, apparteneva alla Chiesa giacobina, approdata in India dalla Palestina». Una realtà che stava stretta a quel ragazzo pieno di sogni. A diciott'anni salpò su una nave e giunse in Italia, prima Napoli, poi Roma e infine a Milano, dove s'iscrisse alla facoltà di medicina alla Statale. Stephen si laureò a pieni voti, trovò lavoro in un ospedale ma non smise mai di studiare fino a prendere quattro diverse specializzazioni. «Non ebbe vita facile - racconta oggi la figlia -. Immaginate un ragazzo di buona famiglia in una città estranea, da solo, senza soldi e con l'obiettivo di farcela». Ma anche da laureato le cose non cambiarono: un chirurgo di pelle scura suscitava diffidenza nell'ambiente medico dell'epoca. Ciò nonostante tenne duro fino a quando decise di aprire uno studio dentistico in Brianza, dove lavora tutt'ora. Se da un lato la pelle scura era fonte di problemi, dall'altro era anche motivo di fascino. Bello e raffinato, Stephen non fece fatica a far breccia nel cuore di Annamaria, giornalista milanese che sposò in breve tempo. «La cosa curiosa è che anche la famiglia della mamma ha una storia di immigrazione alle spalle - sorride divertita Gabriella -. Mio nonno veniva da Zoldo Alto, sopra Longarone. Alcuni parenti lasciarono l'Italia per andare in Germania a fare i gelatai. Lui invece venne a Milano negli anni Trenta e divenne un affermato ingegnere». Un'identità complessa che ha portato questa giovane donna a confrontarsi con il tema dell'appartenenza. Laureata in architettura, pittrice, giornalista e scrittrice, vive con il figlio Ruben di due anni. Nel 2001 ha pubblicato con lo pseudonimo di Viola Chandra il romanzo «Media chiara e noccioline» (ed. DeriveApprodi) e da poco «Pecore nere», una serie di racconti scritti insieme ad altre «meticce» come lei (Laterza). Sono le testimonianze di un'identità divisa, a cavallo tra il nuovo e la tradizione, con un doppio sguardo sul mondo. «Inizialmente appartenevo a una sola nazione, quella italiana - dice - perché l'altra ormai era stata abbandonata. Di fatto mi sentivo composta da due metà divise, un puzzle che ho composto nel tempo con dei pezzi mancanti».
Oggi Gabriella ha quasi fatto pace con se stessa e le sue radici in un'Italia sempre più multiculturale anche se molti fanno finta di non accorgersene.

«Ciò che mi preme - sostiene - è sfidare luoghi comuni e stereotipi sull'immigrazione». Una ricerca che continua a volte con allegria, a volte con inquietudine, ma sempre con ironia. E soprattutto, respingendo il ricatto di dover scegliere tra un'appartenenza e un'altra.

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