La scrittrice

Lo ricordo bene. Come se fosse ora. La luce fioca inondava di lievi onde la cappella del suo appartamento alla terza loggia e quell’uomo, quel sacerdote sommo, stanco e affaticato era aggrappato all’ostia che tentava di sollevare. Il moto silenzioso delle sue labbra testimoniava il suo colloquio con il Signore presente. Ero davanti a Pietro che abbracciava il suo Cristo e gli parlava e di certo l’altro non taceva, nel segreto dei due cuori. Un colloquio che non si interruppe nemmeno con la fine della celebrazione, quando fummo ricevuti nel suo studio privato. Il mio piccolo Francesco, che allora aveva nove anni, soffriva dalla nascita di un grave problema al sistema immunitario, ma il Papa non ne era al corrente. Dopo un breve colloquio, Wojtyla si voltò verso di lui, lo accarezzò e lo fissò per lunghissimi attimi. Sembrava che gli leggesse dentro. Poi gli appoggiò una mano sul capo e con gli occhi chiusi iniziò a pregare. Lo capii dopo, ma in quel momento stava avvenendo un miracolo, mio figlio stava guarendo. Il primo a capirlo fu proprio il bambino che mentre percorrevamo i corridoi del palazzo apostolico mi disse felice: «Sono guarito, mentre il Papa mi fissava negli occhi ho pensato: “Tu se vuoi puoi chiedere per me la guarigione al Signore insieme a tutti i problemi del mondo. Poi ho sentito un calore fortissimo”». Poche ore dopo ebbi la conferma che mio figlio era davvero guarito.
Giovanni Paolo II era ben consapevole di poter ottenere grazie particolari ma non riteneva affatto fosse per i suoi meriti, riteneva che a guarire le anime e i corpi fosse solo Gesù, a cui nulla è impossibile. Ma c’è un altro grande miracolo del suo pontificato legato alle guarigioni straordinarie: la beatificazione e la canonizzazione di un gran numero di cristiani tra i quali molti laici che si sono santificati nelle condizioni più ordinarie della vita, lasciando alla Chiesa una grande eredità e altrettanti mediatori di grazie.
Anche se in questi giorni l’attenzione va soprattutto alle guarigioni ottenute grazie al suo diretto intervento, è davvero impressionante il numero dei miracoli avvenuti grazie all’intercessione dei santi da lui canonizzati o invocando l’intervento della Madonna nei luoghi e nei santuari consacrati dal Pontefice polacco. Io ho voluto raccoglierne alcuni nel mio libro. È stato Papa Wojtyla a beatificare e a canonizzare i due medici italiani Riccardo Pampuri e Giuseppe Moscati. Federica Stramucci, la bambina di Macerata condannata alla sedia a rotelle, non avrebbe forse mai ripreso a camminare se non si fosse rivolta a Giuseppe Moscati. E se Wojtyla non avesse mosso il percorso verso gli altari di questo medico napoletano non sarebbe accaduto nulla; e forse nemmeno il bambino dell’Ecuador che è tornato alla vita dopo che è stato dichiarato morto dai medici grazie all’intercessione di san Riccardo Pampuri. Riccardo era un medico condotto della campagna lombarda a sud di Milano, e probabilmente senza l’attenzione di Giovanni Paolo II sarebbe rimasto sconosciuto. Ora Trivolzio, in provincia di Pavia, dove riposano le sue spoglie è diventata una piccola Lourdes italiana.
Il Papa polacco ebbe anche l’illuminazione di riconoscere la casa di Maria e Giovanni in Turchia, nei pressi di Efeso, come luogo di pellegrinaggio cristiano. In quell’occasione disse ai suoi collaboratori: «In questo luogo la Madonna concederà grazie ai cristiani e a musulmani». Una profezia che si manifestò prestissimo nella sua verità. Nel libro ne riporto alcune davvero impressionanti e di fronte alle quali Giovanni Paolo II non sarebbe affatto stupito.

Le sue numerose canonizzazioni e beatificazioni - guardate spesso con diffidenza dai teologi - erano un chiaro messaggio: c’è un rapporto di causa ed effetto tra la preghiera di richiesta dell’intercessione dei santi e il risultato. E non c’è bisogno di essere cristiani perfetti, e neanche cristiani per domandare. Basta essere mendicanti fiduciosi nel dono di Dio.

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