Scrivendo sulle ceneri di Wall Street

Investimenti folli, broker corrotti e disillusione. Il tracollo economico è davvero un’ottima trama Così gli autori, a partire da Éric Reinhardt con il suo Cenerentola, si sono gettati sul nuovo genere

Scrivendo sulle ceneri di Wall Street

Solo un colpo di bacchetta magica potrebbe trasformare una zucca vuota in un cocchio d’oro, un fagotto di cenci in una veste da ballo e le suole di chi resta a piedi in scarpette di cristallo.

Ma le fate non assistono chi in borsa gioca col fuoco rischiando di mandare una fortuna in fumo e in cenere. E la Cenerentola di cui racconta Éric Reinhardt non è la protagonista di una fiaba. Quella di Cendrillon (tradotto da Francesco Bruno per Il Saggiatore, 459 pagine, 19,50 euro) è una storia di disincanto. Una disavventura che non lascia spazio agli incantesimi. Che riempie di rimandi alla più dura realtà tutti i margini d’invenzione, d’immaginazione, di fiction. E sfata da principio ogni illusione dichiarandosi in copertina un romanzo - «il primo» - sulla crisi finanziaria.

Ne seguiranno molti altri. A breve, tempo una stagione e, ora della fine dell’inverno, ce ne sarà di letteratura da compulsare per sapere come andrà a finire.

Letteratura profetica? Definirla così non comporta troppi rischi.
Non più di quelli cui si era esposto chi, fidandosi di previsioni ottimistiche su flussi di liquidi e fluttuazioni di valori, si è oggi visto scoppiare in mano una bolla speculativa. Certo non è compito degli scrittori spiegare come investire i propri soldi o dove metterli in salvo. Immaginare il destino di vite sempre più condizionate da finanza e mercati però sì. E allora, a ben guardare potevano risultare antiveggenti anche gli autori che vent’anni fa descrivevano l’arrampicata degli yuppies sulla scena sfavillante di Bright Lights, Big City (Jay McInerney, tradotto in italiano come Le mille luci di New York) di cui si presentivano le ombre. O che, aprendo un occhio sveglio sul Sogno Americano collettivo e condiviso, lo lasciavano apparire come un incubo: l’American Psycho di Bret Easton Ellis. Oggi il vecchio sogno è svanito. L’incubo realizzato. La psicosi dilaga tra i rampanti che, bruciati i cordoni della Borsa, si trovano con le mani vuote e privi di sostegni per un’agile ascesa sociale. Sarà ancora un romanziere a sondare il terreno su cui muoversi?

Ci ha provato con un briciolo d’azzardo proprio Éric Reinhardt. Mettendo a fuoco con un anno di anticipo (il romanzo è uscito in Francia nel 2007) la scottante situazione finanziaria che avrebbe deciso le sorti di una Cenerentola. La bomba era già innescata, almeno a giudicare da certe tensioni portate all’estremo, percettibili più all’intuito e alla sensibilità di un letterato che alle ricognizioni di un analista dei mercati. Difficile che questi tenga conto di variabili come avidità, sete di potere, smania di affermazione e successo immediati. Desideri realizzabili, in mancanza di fate complici, con la più spregiudicata mancanza di scrupoli, o con un colpo di mano sprovvista di bacchetta. Il risultato è lo stesso: la solita scarpa di vetro pronta ad andare in frantumi. A braccetto con i suoi personaggi, confessando le sue stesse ambizioni di successo letterario, Reinhardt danza con le proprie illusioni su una pista che gli si incrina sotto i piedi. Non prima però di riflettere come uno specchio inquietante le brame più fatali della contemporaneità. «Con noi si balla a tutta forza!» - promettono gli imbonitori agli investitori -. «C’è chi ha fame di questo. Se hai 100 milioni di dollari ne investi 50 garantiti, 40 negli hedge fund e coi 10 che restano decidi di correre un Megarischio... Perché continuare a lavorare? Potreste godervi la vita! E realizzare i sogni più folli!».

Lo scrittore d’Oltralpe in fondo fa bene la parte che da sempre spetta a un artista. Fiuta in anticipo l’odore di bruciato, coglie ritmo e spirito dei tempi, sente l’aria «nell’universo in cui la finanza determina i destini di tutti noi». Il suo passo da maestro è la giravolta con cui ribalta le carte e svela in soldoni le trappole nascoste nelle trame di un simile destino. Assume la variabile economica come parametro di giudizio. Prende il denaro come una cifra, un equivalente universale, una metafora di situazioni umane. Legge il nichilismo nell’annientamento delle ricchezze. La crisi dei fondamenti nelle rovine di un hedge fund. La trasvalutazione di tutti i valori nella svalutazione di un titolo affondato. Matematico. Ma non elementare. Per mettere a punto previsioni lungimiranti come profezie il talento narrativo non basta. Ci vuole un po’ di senso per gli affari e qualche nozione di economia politica. Sarà per questo che in Germania negli ultimi due anni Il Capitale di Marx ha triplicato le sue vendite. L’Italia, più modestamente, rilancia la Storia di un capitalismo piccolo piccolo di Luciano Vasapollo (Jaca Book) per ricostruire gli antefatti della crisi.

Ma tralasciando classici e racconti storici, c’è anche una nutrita squadra di professionisti della finanza che si son fatti le ossa a Wall Street per raccontarne i lati più torbidi in una serie di noir fantapolitici. Richard Aleas: direttore generale di una società di investimenti da 25 miliardi di dollari. James Hime: avvocato fiscalista esperto di capitali immobiliari e imprenditoria on line. Lawrence Light: giornalista investigativo nel campo della finanza. Twist Phelan, avvocato e trader di commodity future. Stephen Rhodes: specialista in derivati e presidente dell’associazione Structured Products. John Burdett: consulente londinese approdato dai sobborghi della City all’alta finanza di Hong Kong. Sono tra gli autori dei racconti di Wall Street Noir in uscita ad aprile da Alet per la cura di Peter Spiegelman. Veterano del settore dei servizi finanziari e delle industrie di programmazione in 20 anni di contatti con le agenzie di intermediazione e le banche dei maggiori mercati del mondo, Spiegelman è uno che può dirla lunga su «conflitti di interessi, competizioni feroci, egoismi ciechi, ego spropositati, paranoie, cupidigie, ambizioni, disperazioni» che vengono in luce quando si fanno i conti con il portafogli. Sono questi, a suo dire, i tratti dell’antieroe della finanza: un tipo umano che pare la degenerazione mostruosa degli yuppies anni Ottanta.

Lo spazio di una generazione ed ecco toccata una nuova tappa evolutiva nel regno di «un darwinismo sociale governato da spietate logiche aziendali», lo definisce Spiegelman. La specie umana che lotta per sopravviverci dentro presenta più o meno le stesse caratteristiche in tutti gli angoli del globo. In Olanda l’ultima mutazione dell’homo oeconomicus appare dietro la maschera del Maestro di cerimonie, thriller a sfondo finanziario (a marzo da Feltrinelli) in cui il 37enne Arnon Grunberg descrive il Male Assoluto sotto le spoglie di un basher: uno che sparge notizie false e tendenziose per affossare le quotazioni di un titolo.

L’italiano Giorgio Taborelli, 70enne storico della cultura, pubblica a maggio da Ponte alle Grazie La Borsa delle tenebre, romanzo che comincia prima dell’inizio dell’attuale crisi, finisce qualche anno dopo e, a giudicare dai suoi toni profetici non annuncia niente di buono: «Non è certo la prima volta che le cose vanno malissimo. Anche quando Dio mandò il diluvio universale l’umanità aveva grandemente peccato, altro che derivati».

Consolerà la lettura del «giovane cosmetico» Peppe Fiore, che a primavera esordisce da minimum fax con un romanzo sulle nuove generazioni funestate da recessione e precarietà. Lo ha intitolato a La futura classe dirigente. Non si può fare che il tifo per lui.

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