Cronaca locale

La prima scuola per diventare imam «A Milano una moschea non basta»

Il capo religioso di Segrate: «Potranno fare lezione soltanto gli islamici»

«In assenza dello Stato italiano, su molte questioni della vita spirituale e sociale, gli imam sono chiamati a compiere funzioni aggiuntive a quella consueta di guida nella preghiera». Considerazione dell’ambasciatore Mario Scialoja, presidente della Lega musulmana mondiale in Italia, a fare da cornice al primo «corso di formazione per imam e dirigenti di moschee e centri islamici». Verrebbe da aggiungere «moderati», ma l’aggettivo non piace a Issam Mujihahed, portavoce della moschea della Leonessa. «Ha detto il profeta da Bukhari che tutti i fedeli hanno il dovere di rispettare i patti. E visti, permessi di soggiorno, cittadinanza sono accordi che il cittadino musulmano sceglie di accettare e che lo legano alle leggi dello Stato, quando queste non costringono a comportamenti contrari alla propria religione». Una perifrasi che sta per: «Islam e cittadinanza italiana sono perfettamente compatibili. Anche perché sono 12mila i musulmani che operano e votano tra Lombardia e Veneto».
Bene, occorre spiegarlo ai circa quaranta iscritti provenienti dai principali Paesi musulmani, non soltanto arabi. Tra i «banchi» ci sono pure italiani convertiti. Di nuovo Scialoja: «Gli imam devono conoscere la lingua italiana, le abitudini, il diritto del paese in cui vivono, visto che devono occuparsi quotidianamente di contratti matrimoniali e rapporti civili. Devono aiutare gli immigrati di fede musulmana a vivere in armonia con le leggi nazionali, insomma farsi soggetti promotori di integrazione». Meglio affrontare subito le obiezioni più scomode. Come la mettiamo con la poligamia? «Qui in Italia non è praticabile perché vietato dal codice. Per il Corano è una possibilità, non un obbligo, a patto che le mogli siano trattate equamente. Comunque, va scoraggiata». Secondo punto: i luoghi di culto. «La situazione italiana è critica. Abbiamo 750 luoghi di preghiera e solo due moschee, una a Roma l’altra vicino Milano. Molti di questi sono insoddisfacenti: parliamo di seminterrati o locali di fortuna. Se consideriamo - aggiunge - che in Italia vivono 75mila fedeli, è chiaro che sono largamente insufficienti». La soluzione? «Con il governo appena caduto stavamo lavorando a un progetto di legge che prevedeva la costruzione di nuove strutture. Vedremo adesso cosa succederà». Si parte con le lezioni, un ciclo di quattro appuntamenti tra Milano e la moschea di Brescia fino al 24 febbraio. A salire in cattedra per primo è proprio Ali Abu Shwaima, imam di Segrate dal 1977, scelta per lo meno discutibile dopo le polemiche sulla famosa «fatwa» lanciata contro la parlamentare Daniela Santanchè durante un talk show sulla necessità del velo come simbolo religioso. Condanna - «lei è un’infedele», urlò Shwaima - che portò alla concessione di una scorta alla futura leader della Destra. Curriculum personale nient’affatto immacolato a parte (condanna a 5 mesi di reclusione per attività sanitarie e microchirurgiche illegali in moschea), l’imam sente il dovere di precisare agli allievi: «Se serve una licenza per il nostro ruolo, non mi sembra che i musulmani siano così incapaci o meschini da dover esser formati da persone di altre religioni.

L’insegnamento spetta solo a noi islamici».

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