Mentre si litiga sulla scuola, può non essere una cattiva idea dare uno sguardo indietro. Approfittare di anniversari e centocinquantesimi per vedere cosa la scuola sia stata per gli italiani e perché in tutte le stagioni politiche dalla destra storica in poi ci si sia accapigliati, in parlamento e fuori, per decidere come gestire l’insegnamento. Il primo dato di fatto è che l’istituzione scolastica è stata vista sin da subito come un qualcosa che potesse fare da stampella a una nazione poco nazione. Non è un caso che la mostra che aprirà il 17 marzo a Torino, proprio intitolata «Fare gli italiani» consideri la scuola una delle 13 isole tematiche del suo percorso. Ecco qualche dato, pescando solo tra quelli su cui la storiografia, è più concorde. Il censimento del 1861 rivelò che sopra i cinque anni il 78% degli abitanti della neonata Italia era analfabeta. Nel 1864 a frequentare una scuola secondaria in tutto il Paese erano solo 27mila studenti, gli studenti universitari erano 6mila. La legge Casati, promulgata nel 1860, venne estesa a tutto il territorio e portò l’istruzione obbligatoria a 2 anni. Tenendo conto della diversissima situazione sociale degli italiani, distinse fortemente l’istruzione umanistica e quella tecnica. Da subito, date le tensioni politiche col Vaticano, l’istruzione pubblica venne fortemente contrapposta a quella religiosa. La legge Coppino del 1877 rese gratuita l’istruzione elementare per i bambini dai 6 ai 9 anni, stabilì forti sanzioni per chi disattendeva l’obbligo. Parimenti però limitò in maniera drastica tutti gli insegnamenti visti come poco laici. Nel 1901 il 50% della popolazione sopra i 5 anni sapeva leggere. Era stata però imboccata una strada che vedeva lo stato arroccato in una situazione di monopolio. E su questo la discussione è ancora rovente.
Ma quali sono i problemi della scuola? L'abbiamo chiesto a due firme prestigiose come Carlo Lottieri e a Mario Cervi.
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