Scuola, l’allarme delle famiglie: «È il primo problema del Paese»

La prima emergenza nazionale è l’educazione: una scuola senza maestri, che non forma personalità e che avrebbe bisogno di crescere in un sistema misto. Lo dice una ricerca compiuta dalla Fondazione per la sussidiarietà che viene presentata questa mattina al Cnr di Roma. Il 61% delle famiglie italiane (l’indagine ha preso come base un campione nazionale di 3200 persone) e una percentuale appena inferiore di imprese e istituzioni considera l’educazione il problema numero uno e soltanto il 4% la relega tra le questioni da poco. Dati che fotografano una situazione drammatica, un disagio diffuso che non emerge soltanto nei ripetuti episodi di violenze e «bullismo» avvenuti negli ultimi mesi nelle scuole.
Il primo elemento di una scuola di qualità è la preparazione e la capacità degli insegnanti (55%), la crescita della personalità avviene attraverso l’opera di «maestri» (89%) e non in una preparazione individualistica. Soltanto il 13% ritiene che i professori debbano limitarsi ad addestrare a un lavoro: il loro compito principale dev’essere fornire conoscenze specialistiche, istruire ed educare, mentre l’aiuto alla «formazione dei valori» e all’«apertura ai problemi sociali ed economici» sono considerati secondari.
L’indagine della fondazione presieduta da Giorgio Vittadini, docente di statistica a Milano-Bicocca (che ha coordinato lo studio con il professor Carlo Lauro della Federico II di Napoli) analizza anche la riforma Moratti, conosciuta dal 68% degli intervistati che però sono spaccati a metà sul giudizio: 49% a favore, 51 contrari. Unanime (95%) è invece la valutazione positiva sull’introduzione della formazione professionale all’interno del sistema scolastico. Quanto all’ordinamento, il 37% degli italiani non iscriverebbe mai i figli a una scuola privata «neanche se fosse gratuita» e solo il 26% lo farebbe «senza alcun dubbio». La maggioranza auspica comunque un sistema misto, «sussidiario», lontano dagli estremi opposti dello statalismo e della liberalizzazione pura e contraddistinto dalla corresponsabilità tra gli operatori.
Valutazioni differenti emergono tra il Nord e il Centro-Sud, dove l’idea di sussidiarietà viene associata a un progressivo svuotamento dei compiti dello stato, e quindi a una perdita di efficienza. «Scontiamo ancora il blocco ideologico consolidatosi nel cinquantennio post-costituzionale fautore di uno statalismo centralista e contrario nettamente al principio di sussidiarietà», scrive Vittadini nell'introduzione al volume (intitolato «Sussidiarietà ed educazione», editore Mondadori Università) che presenterà oggi assieme al ministro Giuseppe Fioroni, al presidente Istat Luigi Biggeri e al presidente Unioncamere Andrea Mondello.
Dalla ricerca emerge una spinta al cambiamento che però deve fare i conti con un modello di scuola che risente delle differenze storiche tra Nord e Sud e della contrapposizione tra Stato e privato. Cinque anni dopo essere stata introdotta nella Costituzione la sussidiarietà è un concetto chiaro solo al 22 per cento del campione: un gap di conoscenza che paradossalmente colpisce soprattutto i soggetti dai quali emerge più forte la domanda di novità.

Ma una volta spiegato (la Fondazione lo definisce «una modalità di sviluppo che riconosce e valorizza le iniziative della piccola e media impresa dei gruppi sociali e del singolo individuo») sette italiani su 10 dicono di averne «una percezione positiva» e sono convinti che possa favorire la «responsabilizzazione» nella società.

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