«Scuola multietnica, l’ostacolo sono i genitori»

La Moioli: « I ragazzi non hanno pregiudizi Gli adulti rompano il muro di diffidenza»

Il problema lo avevano sollevato i diretti interessati, cioè gli studenti, convocati per una seduta speciale in Consiglio comunale in occasione della Giornata mondiale dell’Infanzia: «Aiutateci a conoscere meglio i nostri vicini di banco stranieri». Ne ha già fatto una priorità Anna Maria Dominici, appena insediata al vertice del provveditorato regionale agli Studi. «La scuola è sempre più multietnica e multilingue - ha detto il neo provveditore - lavoreremo per cercare l’equilibrio per una reale integrazione. A patto che i simboli religiosi non siano causa di scontro ma motivo di dialogo». Una linea, peraltro, fermamente condivisa da Mariolina Moioli, assessore comunale alle Politiche sociali. Convinta che «l’integrazione è un processo, e come tale va affrontato sin dai primi passi nel cammino della socializzazione».
Come agire in concreto?

«Bisogna partire con l’insegnamento dei valori basati sull’integrazione sin dalla scuola d’infanzia, che potenzieremo in termini di risorse e di personale. Inoltre occorre ragionare con il terzo settore, come previsto dalle leggi in materia».

Ai bambini piacciono molto le iniziative a metà strada tra la didattica e lo svago, come i «pranzi etnici».

«I ragazzi, specie i più piccoli, non hanno pregiudizi e sono aperti alla conoscenza dell’altro. I problemi, semmai, sorgono quando ci vanno di mezzo le famiglie. I pranzi etnici, nel rispetto delle norme igienico-sanitarie e delle differenze tra le culture (nel periodo del Ramadan, ma non solo), sono un’ottima cosa. Purché partecipino anche i genitori. A volte sono proprio loro a dover rompere il muro della diffidenza».

Un modo come un altro per evitare i ghetti e le «scuole fai da te».

«Il Comune si impegna affinché le differenze convivano all’interno di un modello che è quello della scuola pubblica, di tutti. Esperienze diverse sono legittimate e tollerate nel rispetto di accordi bilaterali tra gli Stati e, soprattutto, delle regole del Paese ospitante. Lo stesso vale per il riconoscimento dei titoli di studio conseguiti all’estero, comunque di competenza ministeriale e non locale».

Nell’istruzione milanese sussiste una questione islamica? Oppure è solo difficoltà di comunicazione?

«Non esiste nessuna questione relativa ad una comunità piuttosto che ad un’altra. Ad ogni modo, ogni gruppo ha il diritto di comunicare agli altri un’immagine positiva di sé. Nel mio lavoro ho l’abitudine di cogliere il buono che c’è in ogni realtà con l’obiettivo di migliorare la comunità nel suo complesso».

Da direttore generale al Miur al fianco di Letizia Moratti ad amministratore della città multirazziale per eccellenza.

Come proseguire il discorso avviato in ambito nazionale?

«Continueremo nel progetto che tiene conto della cultura d’origine e fa dell’insegnamento della lingua italiana il pilastro dell’integrazione. Le radici fondano le identità delle persone, non servono strappi. Da una parte o dall’altra».

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