Il volumetto di Antonio Scurati La letteratura dellinesperienza (Bompiani, pagg. 83, euro 6,20) ci ha fatto rievocare due celebri caverne. Quella di Platone, affollata di schiavi pronti ad intraprendere il percorso dallillusione alla verità. E quella, più adatta al nostro spirito di moderni, dellIllusion comique di Corneille dove un uomo, che per troppa severità ha provocato anni addietro la fuga del figlio, ottiene da un mago limpossibile: rivederlo. Il mago non è un ciarlatano: ad un suo gesto, come per incanto, in un angolo della grotta appare il ragazzo nella forma di uno «spettro parlante». Non sa di essere spiato, e continua a vivere la sua vita. Il padre è commosso, ma la commozione si tramuta presto in disperazione perché il figlio si è ficcato nei guai. Per amore di una donna ha tradito e giace in fondo ad una prigione, condannato al patibolo. Nellultimo atto la tragedia si compie: sotto gli occhi del padre, che non può far nulla perché la grotta del mago è lontana dal luogo dellesecuzione, la sentenza di morte è eseguita. Solo a questo punto, illusione nellillusione, vediamo il giovane decapitato sollevarsi (resuscitare?) e contare insieme al boia, allamata, allamico tradito i soldi dellincasso. La tragedia era una commedia: il figlio perduto era diventato un attore.
Ripensavamo a questo inscatolamento di pianto nel riso, che anticipa linvenzione del televisore, e ci sembrava che la sua implicita demonizzazione giocasse a sfavore di Scurati, lo indebolisse, ne paralizzasse lintelligenza. Scurati predilige le coppie di opposti: realtà e finzione, commedia e tragedia, umanesimo e postmoderno. Prevedibile che lamenti unindistinzione tra il reale e limmaginario che produrrebbe la distruzione dellesperienza, trasformatasi in «inesperienza». Che sia davvero così? Che laria che tira nuoccia alle personalità «organiche»?
Proviamo a muovere alcune obiezioni, non prima di osservare che prendere la prefazione al Sentiero dei nidi di ragno che Calvino scrisse per ledizione del 1964, ed usarla come emblema di una letteratura rivolta alla realtà, è impossibile. Veniamo alle tesi del volumetto. Sono accettabili? Per cominciare, limpressione che nulla accada e la correlata «fame di esperienza» sono fenomeni giovanili ricorrenti su cui già Max Weber ebbe occasione di ironizzare. Allora gli inseguitori di Erlebnisse, di «esperienze vissute», erano i seguaci di Nietzsche. Poi sarebbero arrivati i Surrealisti - Breton suggeriva di applicare alla mente il procedimento della doccia scozzese -, i poeti inglesi degli anni Trenta, i beatnik... Per tutti valgano le parole di Arbasino: «Non pretendiamo che la gente oggi sia incapace di provare delle passioni, solo perché non ci riusciamo noi». Quanto allindistinguibilità di realtà e finzione, è meno un portato dei recenti sviluppi tecnologici e più una costante del pensiero occidentale.
Sarà il caso magari di osservare che un contadino del Seicento con gli occhi pieni di inferni e paradisi era di certo più allucinato di noi, television men; e che lumanesimo rimpianto dallautore è stato il frutto di unacquisizione di manoscritti amplificato da una rivoluzione mediatica, la stampa, ordigno inaudito e pericolosamente democratico contro cui gli Scurati del tempo ovviamente insorsero. Ma la tesi meno condivisibile è che solo la morte, anche sotto forma di minaccia, sia reale e portatrice di realtà. Senza questoro ogni cartamoneta sarebbe lopera di un falsario.
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