Politica

Se aiuta Berlusconi la legge non vale

Ha ragione la sinistra a sostenere che la legge è uguale per tutti meno che per Silvio Berlusconi. È così, è vero, ma a parti inverse rispetto a quanto intendono i compagni. Ieri è arrivata un’altra conferma. Il tribunale di Milano si è rifiutato infatti di applicare una sentenza della Corte di Cassazione che avrebbe consentito al premier di affrontare in modo diverso, e a lui più favorevole, il processo in corso su presunte irregolarità dei diritti televisivi di Mediaset. La questione è molto tecnica e anche un po’ noiosa, ma semplice nella sua essenza. Che è questa. A dicembre la Corte di Cassazione, ultimo e irrevocabile grado di giudizio, sentenziò che se nel corso di un processo il Pm cambia l’accusa o ne aggiunge una nuova, l’imputato ha diritto di chiedere la sospensione del dibattimento per fare le sue valutazioni e decidere eventualmente di aderire al rito abbreviato (che prevede uno sconto di pena in caso di condanna). Nel processo Mediaset si era verificata esattamente tale circostanza per cui, ovviamente e legittimamente, gli avvocati di Berlusconi hanno chiesto la sospensione. Logica, buon senso, oltre che la legge e persino Di Pietro (che nei giorni scorsi non aveva dubbi in proposito e anzi diceva che il premier aveva tutto il diritto di beneficiare della suddetta sentenza) lasciavano intendere che la richiesta sarebbe stata accettata senza batter ciglio. Anche perché nella prassi le decisioni della Corte di Cassazione diventano immediatamente esecutive senza bisogno di altri passaggi legislativi o giudiziari.
Non è andata così. Dopo due ore di discussione, e appellandosi a fumosi cavilli burocratici, i giudici del tribunale di Milano hanno deciso che con Silvio Berlusconi la legge non si applica ma la si interpreta al di là di ogni ragionevole autonomia della singola toga. Non è la prima volta che ciò accade, che di codici e diritti della difesa viene fatto un tanto al chilo. Ma con il nuovo episodio, l’accanimento giudiziario ha superato ogni limite, tanto che ieri anche il Pd si è detto disponibile a varare subito in Parlamento una norma che renda obbligatoria l’applicazione della sentenza in questione.
Ma intanto le settimane passano e le sentenze si avvicinano. Prendere tempo, questa sembra la parola d’ordine del patto scellerato, un gioco delle parti ben orchestrato, tra la magistratura politicizzata e la sinistra. Bisogna incastrare Berlusconi anche a costo di penalizzare tutti i cittadini che incappano nella giustizia e che da ieri non hanno più la certezza di poter godere dei benefici della sentenza sulla sospensione in caso di modifica di accuse. Ma se una sentenza non dà certezze, se ogni tribunale può applicarla in funzione della sua convenienza o fede politica, di che stiamo parlando? Di giustizia? Non credo. Ieri il presidente Napolitano ha smentito i giustizialisti irriducibili: «Su di lui - ha dichiarato - il peso delle responsabilità cadde con una durezza senza uguali. Gli aspetti tragici della vicenda impongono ricostruzioni non sommarie di almeno un quindicennio di vita pubblica italiana». Si riferiva a Bettino Craxi. Meglio tardi che mai.

Facciamo che un analogo giudizio non debba un giorno essere pronunciato su Silvio Berlusconi.

Commenti