Carissimo Granzotto, sappiamo per bocca del procuratore Grasso che lo scambio di favori non risulta nei nostri modelli giuridici e che quindi tutti gli implicati nella sedicente P3 non hanno commesso nessun reato. Se lo diventasse, se come è accaduto per il concorso esterno in organizzazione mafiosa, se inventassero il reato di compiacenza, tutto il Palazzo e sette ottavi della popolazione si ritroverebbe in manette. Ma poiché non lhanno inventato e dubito che lo faranno, mi sa spiegare il perché di tutto il cancan mediatico e la Bindi che se ne esce con la richiesta di una commissione dinchiesta?
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Mancanza di meglio, caro Bottari. Ci metta, in più, il solleone. Il colpo grosso, la «bomba» vaticinata dai fini e gli affini e cioè il coinvolgimento di Berlusconi nelle stragi mafiose ha fatto cilecca. Serviva altro per tenere alta la vigilanza antiberlusconiana e così i repubbblicones e i manettari travaglianti hanno montato il cancan del quale lei parla. Per colpa del solleone, poi, la sempre prevedibile Rosy Bindi - quando ti aspetti che ne faccia una delle sue, la fa - se ne è uscita con la richiesta di una commissione parlamentare, roba che i polli ancora ridono. Scoccia assai, ai «sinceri democratici», non poter far tintinnar le manette nella vicenda della cricca o P3, però quella non è gente che si perde danimo. E lhanno buttata sulla «questione morale», che è come il pongo: le dai la forma e la sostanza che meglio ti fa comodo. Agli occhi dei moralisti a iniezione diretta, io, per esempio, sarei un pitreista, un criccante della peggior specie (con una mezza idea di sovvertire lo Stato repubblicano, anche). Titolava domenica, e a piana pagina, la Repubblica: «Cravatte, vini pregiati e convegni - così la banda avvicinava i magistrati». E nel testo: «la banda, secondo le intercettazioni, ha perfino regalato due cravatte». Perfino. Cioè addirittura, niente meno che. Bon, con questi chiari di luna posso autoaccusarmi di essere un bandito, un pitreista. Si dà il caso chio ricevetti in dono da Francesco Rutelli nientemeno, addirittura proprio una cravatta. Bella, di seta, blu, con una decorazione, il disegno duna statua romana, al centro. La metto spesso, arrogantemente ostentando così il mio pitreismo, la mia anima banditesca. Andò in questo modo: avevo preso a cuore un giardino di Verona, il più bello, il più «storico», minacciato da un intervento di «arredo urbano». Ossia cemento à gogo. Scrissi che il ministro dei Bei culturali avrebbe fatto bene a dare una occhiata a quella delibera, e in fretta. Il ministro era allora Francesco Rutelli, che intervenne a razzo bloccando tutto. Lo ringraziai elogiandolo per la tempestività, faccenda pressoché ignota fra le mura ministeriali. E lui mi rispose con un garbato biglietto ringraziandomi a sua volta daver dato atto, pur non avendo io né punta né poca simpatia per il governo Prodi, della premura e della efficienza dei Beni culturali. Allegato al biglietto, la cravatta che richiamava, con quella statua romana, alle competenze del ministero. Ci siamo, no? Scrivendo bene di Rutelli gli ho reso un servigio che Rutelli mi ha subito retribuito con perfino, con addirittura, con niente di meno che una cravatta. Pitreista io, pitreista lui. Appartenente alla cricca io, appartenente alla cricca lui. Bandito io, bandito lui. Dovrei aggiungere la storia di una bottiglia di Amarone «pregiato» e immediatamente delibato che mi giunse, in cortese contraccambio di un Codice napoleonico, da un alto magistrato.
Se la corruzione è una cravatta siamo tutti «pitreisti»
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