Se il giudice che insulta il Cav si merita solo una censura

Ha fatto per una vita il pendolare fra politica e giustizia. Ha viaggiato, senza mai muoversi: perché Adriano Sansa è stato sindaco di Genova, alla testa di una coalizione di centrosinistra, poi presidente della corte d’appello, naturalmente di Genova, e oggi è alla testa del tribunale per i minorenni. Dove? Ovvio, nella stessa città. Insomma, un cortocircuito che più cortocircuito non si può. Con l’ipotesi, almeno teorica, che il giudice Sansa potesse giudicare gli eventuali reati commessi da qualche componente della giunta Sansa. Ora a furia di dividersi e di sdoppiarsi, Sansa si è bruciacchiato: ma niente di grave. Il Csm ha stabilito di infliggergli la censura per le frasi pronunciate a un convegno sulla riforma della giustizia. In quell’occasione l’ex sindaco aveva detto: «Questo governo è indegno di affrontare il tema giustizia. Dobbiamo preparare un’altra riforma, quella che, andati via certi gaglioffi, ripristinerà la giustizia». In poche parole aveva dato dei gaglioffi al premier e al Guardasigilli. Aveva parlato da giudice ma si riferiva a due avversari politici. Una anomalia tutta italiana che ora il tribunale disciplinare del Csm punisce con la censura. Una sanzione, diciamo così, intermedia, fra l’ammonimento, ultrasoft, e la perdita di anzianità, rovinosa per la carriera. Nessuno vuole mettere il bavaglio al cittadino Sansa, ci mancherebbe, e togliergli la facoltà di criticare, anche in modo feroce, il governo.

Il punto è che il sistema italiano digerisce tutto ma proprio tutto: anche un giudice, non un pm che sarebbe pur sempre una parte, che punta il dito contro leader amati da una parte della popolazione per cui lui amministra la giustizia. Difficilmente quel giudice potrà apparire discreto, imparziale, terzo. Anche per questo, al di là di eventuali sanzioni, ci vuole una riforma della giustizia.

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