È singolare che nel mondo imprenditoriale ci si sia innamorati delle teorie pedagogiche di Edgar Morin, secondo cui la mente umana è «ologrammatica», le discipline vanno dissolte in un calderone «sistemistico» e listruzione deve curarsi del metodo (formare «teste ben fatte») e non delle conoscenze. È un paradosso perché Morin e il coetaneo novantenne Stéphane Hessel, con il libello Il cammino della speranza, si sono messi alla testa degli «indignati» di tutto il mondo; propongono linsurrezione delle coscienze e quattro medicine: libertarismo, socialismo, comunismo ed ecologismo; e di sfasciare lassetto tradizionale dellistruzione con a pedagogia ologrammatica.
In un recente articolo sul Sole 24 Ore, Pier Luigi Celli riprende la tematica moriniana e si scaglia contro le rigidità disciplinari e lastrattezza dellaccademia. Per uscire dallempasse (sic) propone una visione volta alle applicazioni industriali e, per i professori universitari, ogni cinque anni un semestre di stage in azienda per «capire come cambia il mondo del lavoro» e «rendere linsegnamento allaltezza delle sfide che attendono i loro allievi».
A prima vista ragionevole. Luniversità però non è fatta solo di economisti, ingegneri o medici (che hanno le loro aziende di addestramento, gli ospedali). Che faremo dei professori di filologia classica, di storia medioevale o di fisica teorica? Li spediremo in una fabbrica di piastrelle o in un mobilificio? Come in un lapsus freudiano emerge lorizzonte mentale della proposta: tutto quello che non si «applica» direttamente non esiste. Listruzione anticoncettuale e antidisciplinare piace a chi vede ciò che non è immediatamente finalizzato a scopi pratici come ciarpame, e ridurrebbe luniversità a una scuola di formazione di addetti per le aziende, a spese dello stato.
Nessuno si sognerebbe di fare una proposta simile in un sistema privatistico in cui ogni università agisce secondo un progetto il cui successo è valutato dalla qualità dei soggetti formati. Una simile idea (del genere campi di rieducazione da Repubblica popolare cinese) può germinare solo in un contesto in cui avanza librido di un sistema statale dellistruzione governato da unindustria che persegue interessi privati usando risorse e leggi statali.
Un ibrido mostruoso perché il sistema dellistruzione risponde a interessi molto più vasti di quelli aziendali e deve restare autonomo, privato o statale che sia. Fa ridere il pensiero di certi accademici americani a fare stage in azienda. Negli USA accade per lo più il contrario: le aziende mandano nei centri di ricerca esperti a captare idee utili allinnovazione tecnologica. Invece, la proposta nostrana è unidirezionale: le teste da rifare sono quelle universitarie; quelle industriali sono a posto e anzi in grado di ammaestrare. Non si sa se ridere o piangere che si pensi così in un paese che ha demolito la sua grande industria; come quella chimica, che era di livello mondiale, per merito di un accademico come Giulio Natta. Ma va bene. Facciamo gli stage, però prevedendo anche per gli imprenditori stage universitari. Ho sperimentato coaching di storia della scienza per ingegneri aziendali culturalmente sensibili e sarei felice di ricevere imprenditori disposti a sentirsi spiegare che i più grandi sviluppi della tecnologia sono stati ispirati da elaborazioni teoriche; senza cui non vi sarebbe stata innovazione. Né vi sarà, perché un paese senza scienza di base - teorica, disciplinare, concettuale - e senza cultura - anche umanistica - è destinato a finire in coda, per produrre solo modesto bricolage tecnico e brevetti di risulta. Di questo non si curano pedagogisti alla Morin interessati solo a rinverdire progetti rivoluzionari.
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