Se i talk show diventano commedie dell'assurdo

I talk show sono in crisi di crescenza, nel senso che sono troppi e tutti uguali

Se i talk show diventano commedie dell'assurdo

Possiamo vivere senza tv, ma la tv non può vivere senza di noi, tant'è che trascurandoci rischia di farsi del male, se non di morire sotto una coltre di noia. I talk show sono in crisi di crescenza, nel senso che sono troppi e tutti uguali: trattano gli stessi temi usurati, ospitano i medesimi personaggi, durano ore e ore provocando sbadigli negli spettatori, sempre meno numerosi. È vero che la politica, ripetitiva e inconcludente, ha stancato i cittadini, li ha delusi e disgustati. Ma non è escluso che la tv, ampliando le banalità del Palazzo, abbia contribuito a creare il distacco e la sfiducia degli elettori, che ormai considerano gli eletti una casta inutile, anzi, dannosa e intenta solamente a trovare il modo per sopravvivere. I politici si scannano tra loro per comparire in video e i conduttori dei programmi dedicati al teatrino della politica fanno a gara per averli in studio e spremerli, senza accorgersi che sono già spremuti, talmente aridi da suscitare in chi li ascolta il desiderio di fuggire azionando il telecomando.

Ciò che irrita maggiormente in questo genere di programmi è la maleducazione di chi vi partecipa e di coloro che li interrogano. Il conduttore rivolge una domanda a uno degli invitati al dibattito, ma non gli consente di rispondere, specialmente se intuisce che l'interlocutore sta dicendo cose a lui sgradite. Lo interrompe o permette di intervenire a un altro ospite. Cosicché le voci si sovrappongono, si confondono, il telespettatore non capisce più niente e cambia canale.

I padroni dei talk show non si rendono conto che non c'è niente di più fastidioso: udire parole urlate e incomprensibili equivale ad assistere a una bega stradale; o i litiganti vanno alle mani oppure non vale la pena di vedere come finisce la tenzone. Più i toni delle conversazioni si alzano e più l'audience - contrariamente a quanto avveniva in passato - cala sino a rasentare percentuali omeopatiche. Nonostante questo sia assodato, i palinsesti di qualsiasi rete, in particolare di La7, sono pieni zeppi di programmi imperniati sulle disordinate chiacchiere di commentatori e parlamentari. Il che dimostra che peggio dei giornalisti ci sono soltanto gli editori, totalmente incapaci d'inventare trasmissioni più appassionanti e redditizie.

L'appiattimento verso il basso è inarrestabile. Un'ultima osservazione. Recentemente è stato eletto il successore di Giorgio Napolitano al Quirinale. Era noto a chiunque, anche a chi se ne impipa di problemi istituzionali, che i primi tre scrutini non avrebbero sortito alcun risultato utile: costituivano un rito privo di qualsiasi benché minimo interesse sul piano pratico. Non importa. Tutte le antenne, incluse quelle di Stato, si sono mobilitate in forza per seguire gli eventi più irrilevanti della storia repubblicana: pomeriggi e serate intere per mostrarci la signora Boldrini, affiancata da sconosciuti, mentre con aria solenne leggeva le schede, che in gran quantità erano «bianche».

Non solo. Di tanto in tanto, le telecamere, per variare la scena, cessavano d'inquadrare la presidente della Camera e mettevano a fuoco i volti severi di editorialisti e costituzionalisti radunati in salotti, convocati appositamente per discettare su quanto non succedeva in aula.

Una commedia dell'assurdo (che neanche Eugène Ionesco avrebbe potuto immaginare) superata soltanto, per insensatezza, da quanto è accaduto allorché al quarto scrutinio Mattarella ce l'ha fatta a raggiungere il quorum e ad assicurarsi la poltrona di capo dello Stato. Egli ha rischiato di annegare nel mare di saliva di coloro - i cronisti - che ne hanno descritto le virtù ai microfoni della Rai e consorelle e perfino sui quotidiani.

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