La classe dei ricchi e la classe dei cretini. Basta andare a Cortina o a Forte dei Marmi armati di telecamera e microfono e, oplà, il gioco è fatto: le due classi si mischiano fino a diventare un pugno in faccia alla decenza. Per confezionare il pacco basta poco: due interviste, le immagini scintillanti di un benessere che, chissà perché, dev’essere sempre antipatico, e coriandoli di volgarità. Forse è un retaggio di quell’antica e inestirpabile malattia chiamata odio di classe. L’altra sera l’inviato di «Piazza pulita», programma di successo di La7, era proprio a Cortina e lì, fra cristalli e flûte, ci ha consegnato il solito acquarello: la ricchezza è sfacciata, la ricchezza è volgare, la ricchezza è senz’anima. La ricchezza se ne frega della crisi e, anzi, quelli che banchettano goduriosamente fra Natale e Capodanno sono una sottospecie di avvoltoi, griffati fin che si vuole, ma pur sempre disgustosi. È la solita tiritera che certa sinistra, monacale e lacrimosa, ripete come un mantra e che ora sta dilagando anche in ampi strati della società morsi dalla crisi: chi beve bollicine millesimate o sgomma in Ferrari e frequenta resort dalle alte mura, più in generale chi ha disponibilità finanziarie, viene visto con sospetto. È un personaggio obliquo, chissà quali trame nasconde, è un evasore. E ci fermiamo qua, perché il trenino dell’ideologia e del pregiudizio attacca un vagone dietro l’altro e prova a trasformare tutto un pezzo della società in una parodia di qualche pellicola dei fratelli Vanzina. I ricchi formato cinepanettone, che naturalmente non tira più.
E allora avanti a mitragliare parole come rigore e tasse che, di per sé, sono concetti giusti e condivisibili. Ma il retropensiero è sempre quello: strangoliamo i consumi, ridimensioniamo chi se la passa bene, e magari se la gode, togliamo benessere a chi ce l’ha. Perché in fondo la ricchezza è il peccato originale. E un disvalore.
Errore gravissimo, perché la ricchezza è, fino a prova contraria, uno dei motori dell’economia. Perché chi vive nel lusso, o ha un tenore di vita elevato, è uno che l’economia la fa girare, è uno che probabilmente le tasse le paga, uno che se preme il piede sull’acceleratore di un’auto importante paga un superbollo.
Ci si lamenta perché l’Italia sta scivolando nel baratro, perché il «made in Italy» è in crisi, perché gli stranieri fanno shopping e saccheggiano le nostre eccellenze, ma poi si demonizza l’italiano che ha un’auto prestigiosa, che sfoggia una barca - più spesso una barchetta -, che riempie i ristoranti a una, due o tre stelle.
La sinistra (e non solo la sinistra) si metta d’accordo con se stessa: la povertà, o meglio il pauperismo, non va tanto d’accordo con l’italian style. E l’indignazione può generare una mentalità perniciosa che fa scendere tutto il paese, come un ascensore, sprofondandolo ai piani bassi. Intendiamoci: il cafone e l’arrogante, magari rivestiti con un Suv, fanno parte della galleria dei tipi italiani di cui faremmo volentieri a meno. A volte la parodia pizzica la realtà. A volte, non sempre. La realtà è assai complessa, frastagliata e soprattutto trasversale. C’è l’imprenditore che gioca a nascondino spostando in Svizzera capitali immensi e c’è il piccolo impiegato che rompe la crosta della monotonia riscuotendo la pensione della madre morta da anni. C’è il piccolo truffatore e, accanto a lui, ugualmente odioso, il grande truffatore; e ci sono le persone oneste e perbene che lavorano, spendono e vorrebbero spendere ancora di più e andare una settimana in crociera e poi girare intorno al mondo come i duemilatrecento fortunati, settecento dei quali italiani, che mercoledì scorso si sono imbarcati a Savona sulla Costa Deliziosa, altro gioiello del made in Italy, nave da cartolina che qualcuno si è messo in tasca ma molti vorrebbero stracciare.
È chiaro: la sobrietà, specie di questi tempi difficili, è un valore e certa strafottenza può stonare. Ma guai a prendere la scorciatoia sanculotta e a impugnare i forconi. L’Italia cresce poco o nulla da quasi vent’anni: più o meno dal ’92. È del ’92 la manovra Amato che colpiva chi aveva qualche soldo in tasca. E si combinava con il vento moralistico di Mani pulite.
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