Se Stasi fosse stato in una puntata di «Lie to me»

È stato più forte di noi. Ci abbiamo pensato per tutta la puntata. Quando Vinci gli ha chiesto dell’omicidio e lui ha guardato in basso a destra, tutte le volte che si è sistemato gli occhiali impugnando con indice e pollice l’angolo della montatura, tutte le volte che la telecamera si è avvicinata a inquadrargli le mani conserte. E poi, ancora, ogni qual volta ha deglutito prima di iniziare a rispondere, facendo vistosamente andare su e giù il pomo d’Adamo, ogni qual volta ci abbiano portati ad osservare le sue labbra sottili incresparsi in una smorfia di disagio, ogni qual volta non siamo riusciti a leggergli inflessioni nella voce, ogni qual volta ci siamo soffermati a capire come mai avesse scelto quella parola al posto di un’altra. Ci abbiamo pensato per tutta la puntata di Matrix (martedì, Canale 5 23.30) a cosa avrebbe detto di Alberto Stasi, Tim Roth, il Cal Lightman di Lie to me. Se è vero, com’è vero, che «la verità è scritta sul nostro volto», l’intervista esclusiva all’ex sospettato numero uno per il «caso Garlasco», sarebbe stato materiale imperdibile per il dottore della comunicazione non verbale. L’ha detto anche Alessio Vinci, morbido e rispettosissimo nei confronti dell’assolto, che mezza Italia è ancora, comunque convinta della sua colpevolezza. E l’altra sera, con «l’ex mostro» in maglioncino verde, appollaiato sullo scomodo sgabello di uno scomodo tribunale mediatico, abbiamo compreso quale sia la fortuna di tutti i programmi morbosi della tv: noi.
Stasi era il fiero pasto da cui l’Ugolino che c’è in tutti noi faticava a sollevare la bocca. Era la goccia in fondo al bicchiere da bersi in un solo fiato. Due ore di dettagli senza mai paura, felicità, rabbia, disgusto, sorpresa, disprezzo. Due ore alla stessa temperatura emotiva. Senza bassi o acuti nella voce, senza lacrime negli occhi, senza rossori sul volto, senza mai muovere il corpo. A spiegare che Chiara Poggi era la sua fidanzata e che il dolore è anche suo. A rivedersi nei video con le ricostruzioni degli inquirenti, a risporcarsi con le stesse macchie di sangue che l’hanno imbrattato per tre anni di indagini, processi e accuse.


E Vinci in studio che sorrideva e alleggeriva e faceva di tutto per metterlo al caldo e fargli capire che lo sapeva di intervistare un innocente. E noi, a casa, che aspettavamo lo stesso solo che cedesse. Stasi che accetta di mettersi sotto l’inclemente, pericolosissima lente della tv. Perché non è vero che la tv mente. La tv, alla fine, dice sempre la verità.

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