Un secolo al bar tra Jovanotti e Lotta continua

All’Orchidea qualche raffinato, con lo sguardo moscio, andava a vedere la Corazzata Potemkin. Poi passava al Magenta e scolava un Martini, in controtendenza direi, ideologica. C’era il biliardo, c’era la sala per la scopa e lo scopone, volavano biglietti da mille e deca che era un piacere vederli nelle nuvole di fumo che coprivano i giocatori e gli avventori. Storia che fu del bar Magenta che compie, anzi ha compiuto il tredici di aprile, anni cento, un secolo grande così ma, insieme, veloce, quasi fulmineo perché se andate a rovistare negli archivi di Comune, Sovrintendenza e affini troverete poco o nulla. Sapete come è fatta questa città, si fa bella per qualche giorno dinanzi agli ispettori internazionali, si trucca e si bistra per l’Expo che sarà o sarebbe e poi macchia e trascura le sue cose più forti, i locali che ne hanno fatto la storia, teatri, cinematografi, bar, pasticcerie, laddove, cioè, ha vissuto davvero la città e non le sue statuine in auto blu. Il bar Magenta, dunque, con la sua scritta decò in oro su fondo nero, le sue vetrine con struttura in ferro, gli arredi antichi del Ghirardelli, ogni tanto fa venire lo magone ai milanesi che furono.

In millenovecentosette fu anno di crisi nera e vera, forse per questo in quella data venne alla luce un certo Enrico Cuccia, a Roma in verità, per poi passare la vita, a capo chino, per le strade meneghine, in quella data Ernesto Teodoro Moneta, sconosciuto (...)

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