Roma - Ha iniziato con una «gaffe», come l’ha chiamata il polemico Times di Londra. Proprio alla prima uscita pubblica: sulla pena di morte decide ogni singolo Stato, ha detto Ban Ki Moon. Con la stampa contro, persino una parte di quella americana, accusato di smentire in pieno le posizioni del predecessore Kofi Annan, il neosegretario dell’Onu si è corretto a centottanta gradi. La dichiarazione di ieri non è stata sua personale, ma della portavoce, Michele Montas, durante il briefing con i giornalisti al Palazzo di vetro: Ban Ki Moon appoggia l’abolizione della pena di morte, e «ritiene che l’Onu debba lavorare a questo fine». Si appella all’articolo 3 della Carta dei diritti dell’uomo, «che stabilisce che tutti hanno diritto alla vita». Allo stesso tempo «si rende conto che sarà un processo lungo» perché all'Onu sono rappresentati 192 Paesi «che su questo argomento non sono d’accordo».
È piuttosto azzardato sostenere, come fa il sottosegretario agli Esteri Bobo Craxi, che la retromarcia di Ban Ki Moon sia frutto «dell’iniziativa dell’Italia» per una moratoria internazionale sulla pena di morte. Ma la rettifica obbligata del sessantaduenne sudcoreano ha certamente acceso i riflettori all’Onu su un dibattito attualissimo, dopo l’esecuzione di Saddam Hussein e importanti dichiarazioni dei principali Paesi europei contro la pena capitale.
L’iniziativa dell’Italia all’Onu per una moratoria delle esecuzioni va avanti ma «è difficile e complessa», ha ammesso ieri Romano Prodi, mettendo le mani avanti proprio quando Marco Pannella ha deciso di sospendere lo sciopero della sete (ma non quello della fame) con cui chiedeva un intervento concreto dell’Italia alle Nazioni Unite.
La strada per la presentazione di una mozione è ancora lunga, ma in Europa stanno arrivando i primi appoggi di peso: «La Francia - ha dichiarato un portavoce del ministero degli Esteri di Parigi - sostiene pienamente l’iniziativa italiana che ha portato alla firma da parte di 85 Paesi». Mentre dal Foreign office di Londra è stato annunciato: «Siamo ansiosi di continuare a lavorare con i nostri partner europei per arrivare all’abolizione della pena di morte in tutto il mondo». Il ministro della Giustizia Clemente Mastella ne parlerà con i guardasigilli europei nell’incontro in programma a Dresda il 15 gennaio. La proposta è a ogni modo «un bel biglietto da visita per l’Italia», ha sottolineato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
I consensi vanno cercati, però, soprattutto fuori dall’Europa. L’obiettivo è quello di far salire quelle 85 firme già presentate all'assemblea generale dello scorso 19 dicembre.
E questo non è semplice. Lo ha ammesso Prodi: ci sono «grandi Paesi favorevoli alla pena di morte», ma la proposta sembra «avere oggi più possibilità». Questo perché «tanti Paesi negli ultimi anni hanno cambiato il parere in materia».
Il vicecommissario europeo Franco Frattini ha garantito che c’è l’intenzione sua «e della commissione di andare avanti con la moratoria sulla pena di morte». Ma «la cosa più pericolosa», ha avvertito, «sarebbe sottoporre al voto una mozione e vedersela bocciare all'assemblea dell'Onu».
L’argomento non sarà in ogni caso «il dossier numero uno» dell’incontro che l’alto rappresentante per la politica estera della Ue, Javier Solana, avrà negli Stati Uniti la settimana prossima con Ban Ki Moon. Il ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio chiede al presidente della Commissione europea José Manuel Barroso «di impegnarsi in prima persona e di avanzare una proposta già lunedì a Washington quando incontrerà Bush». Ma da Bruxelles si precisa che non è possibile «confermare o smentire se questa sarà una questione sollevata».
I radicali chiedono a Prodi che dall’Italia parta una seria raccolta di firme per la convocazione di un’assemblea straordinaria sulla moratoria.
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