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«Il segretario Onu? Frequenta i criminali»

Lui la chiama “diplomazia tranquilla” giurando, però, di essere molto duro quando incontra dittatori, capipopolo accusati di crimini di guerra e presidenti che massacrano migliaia di civili per farla finita con i separatisti.
Non stiamo parlando di una feluca di second’ordine e un po’ naïf, ma del segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon. In Birmania è andato a stringere la mano al tiranno locale senza riuscire non solo a liberare, ma neppure a vedere, Aung San Su Kyi, L’eroina dell’opposizione, agli arresti da sempre, insignita del premio Nobel per la pace. Nello Sri Lanka ha tacitato i rapporti dell’Onu che parlavano di migliaia di civili tamil massacrati. Il capo dello Stato gli aveva promesso che avrebbe trattato meglio i superstiti. Con Omar Hassan al-Bashir, il presidente sudanese accusato da un tribunale dell’Onu di genocidio, il capo del Palazzo di vetro si sarebbe incontrato con discrezione. Sempre con l’obiettivo di far diventare più malleabili i cattivoni. Lo rivela il quotidiano Washington Post .
Il “rappresentante” del mondo è finito sotto tiro per la sua disponibilità a parlare con tutti, compresi tiranni e capi di Stato con le mani sporche di sangue. Qualcuno sostiene che fa parte dell’indole asiatica dell’ex ministro degli Esteri sudcoreano, che governa l’Onu da due anni e mezzo. Altri, come Mona Juul, ambasciatrice norvegese alle Nazioni Unite, descrive Ban come un leader "privo di charme e spina dorsale". In luglio è volato nel Myanmar, il regno del generale Than Shwe. Il dittatore ha respinto l’appello del segretario generale di liberare al premio Nobel San Su Kyi. Non solo: cinque settimane dopo i giudici addomesticati del regime hanno condannato la prigioniera eccellente ad altri 18 mesi di arresti domiciliari. Così non potrà partecipare alla campagna elettorale per le elezioni del prossimo anno. «L’immagine che ha di lui la gente è di quello seduto assieme ai cattivi ragazzi che non ottiene nulla», rincara la dose Kenneth Roth, direttore di Human rights watch parlando di Ban con il Washington Post. Con il presidente dello Sri Lanka, Mahinda Rajapaksa, non mancano le foto di calorose strette di mano e larghi sorrisi in compagnia del segretario generale. Peccato che l’esercito di Colombo, su ordine del presidente, abbia schiacciato la guerriglia separatista delle Tigri tamil a caro prezzo. Fra gli 8mila e i 20mila civili hanno perso la vita intrappolati fra due fuochi. Ban ha imposto ai funzionari delle Nazioni Unite sul posto di non pubblicare le stime degli innocenti massacrati. In cambio ha ottenuto un cessate il fuoco durato solo un fine settimana e poi la mattanza è andata avanti. Da una parte i bombardamenti dell’artiglieria governativa e dall’altra i civili utilizzati come scudi umani dai guerriglieri. A guerra finita Ban ha pregato il presidente dello Sri Lanka di rilasciare i tamil sopravvissuti, che venivano chiusi come bestie in campi profughi circondati dal filo spinato. In cambio ha promesso l’impunità al capo dello Stato. Una commissione d’inchiesta dell’Onu sui crimini di guerra, che era stata auspicata, non vedrà mai la luce.
Il Washington Post ha pubblicato un rapporto confidenziale dell’ambasciatrice norvegese all’Onu, che non lascia spazio a dubbi. Ban «era un debole osservatore delle migliaia di civili che hanno perso la vita - scrive Mona Juul sui massacri nello Sri Lanka -. L’autorità morale del segretario generale è perduta». Per la tragedia del Darfur, dove un’intera etnia è a rischio genocidio, Ban si vanta di aver fatto partire la più grande missione umanitaria delle Nazioni Unite. In realtà carenza di uomini e mezzi rendono ardua l’impresa. Il mandato di cattura per crimini di guerra nei confronti del presidente Omar al Bashir ha peggiorato la situazione. A voler arrestare il capo dello Stato sudanese è il procuratore della Corte penale internazionale dell’Aia, Luis Moreno Ocampo, che dipende dall’Onu. Tuttavia, ma il Washington Post non cita il luogo, a fine marzo Ban e il presidente sudanese erano presenti entrambi alla conferenza della Lega araba a Doha, in Qatar.
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