(...) che pure laveva aiutato in campagna elettorale, pone Enrico Musso di fronte a statistiche devastanti sulla partecipazione ai lavori del Comune. E come può chi cè stato poco o per nulla, dire che ora Tursi è al centro della sua attenzione? Magari facendo dotte disquisizioni sul rifiuto delle sedute al lunedì anzichè al martedì? Siamo seri.
«Vi vuole quello che io non ho, ci vuole il pelo sullo stomaco», cantava Vasco in Stupendo.
Ma, soprattutto, come non mi stancherò mai dire, non apprezzo che si prendano i voti con le liste bloccate per votare «Berlusconi presidente» e li si usi per poi votare la sfiducia contro Berlusconi. Possono farlo tutti, ma non chi è stato eletto per nomina e cooptazione berlusconiana, con il Cav che ha cancellato dalle liste elettorali una candidata degna e preparata come Renata Oliveri per fargli posto. Non cè ma e non cè però. E mi piace citare, al proposito, la risposta del nostro Mario Cervi ad una lettera di un lettore, che gli chiedeva cosa pensasse di chi cambia gruppo in corso di legislatura. Cervi, molto correttamente, ha spiegato che - finchè cerano le preferenze o i collegi - il cambio di casacca era lecito. Magari non esteticamente il massimo, ma ampiamente giustificato da quel «senza vincolo di mandato» che cè in Costituzione e che, piaccia o no, dal punto di vista puramente formale, vale anche ora. Cioè, a norma di Costituzione, il comportamento di Musso è perfettamente legittimo, come la nascita del governo Monti.
Però. Però ora, invece, «si è eletti perché appartenenti a un partito ed estimatori del suo leader. Un partito del quale ci si è impegnati inoltre a difendere il programma. Si può mutar parere. Ci si stanca della moglie, figurarsi se devessere vietato stancarsi duna formazione politica e del suo capo. Ma si è diventati deputati e senatori solo per essersi schierati con un capopopolo e con la sua fede politica...». Solo, sono perfettamente daccordo.
Quindi, continua Cervi: «... Se si lascia quel partito, decenza e dignità imporrebbero che si lasci anche il Parlamento». Decedenza e dignità, e anche qui ri-sono perfettamente daccordo.
Il problema è che non sono doti note a tutti. E che cè chi non solo non vota la fiducia a colui che lha messo in lista e grazie al quale è stato eletto, senza nessun altro merito elettorale che la designazione imperiale, ma oggi addirittura qualcuno pensa di riproporre agli stessi elettori. E mi riferisco ovviamente a Enrico Musso.
Fra laltro, dico subito che è più grave che qualcuno pensi seriamente a un Pdl che non si schieri pesantemente e con tutta la forza, la decenza e la dignità possibile contro Musso, piuttosto che Musso pensi di chiedere loro i voti. Se a qualcuno piace il masochismo, non è il marchese De Sade il primo colpevole. E, soprattutto, non si è mai visto al mondo che Scilipoti chieda i voti dellItalia dei Valori. Ma, soprattutto, che lItalia dei Valori pensi anche lontanamente di darglieli.
Ecco, il caso di Scilipoti è esattamente speculare a quello di Musso. Anzi, secondo alcuni, nel comportamento di Scilipoti cè anche un tratto di nobiltà perchè ha permesso a un governo regolarmente voluto dagli elettori di proseguire nella sua opera. Ma a Enrico Musso - che mi sono ostinato a stimare a lungo, perchè gli riconosco delle capacità - consiglio di leggersi gli atti parlamentari e le dichiarazioni di Renato Cambursano, parlamentare dipietrista che, la scorsa settimana, non si è riconosciuto nella scelta del suo partito di non votare la fiducia alla manovra di Monti. E, di fronte a una decisione simile, anzichè dimettersi nelle mani di Maurizio Gasparri, di Gaetano Quagliariello o del club di Topolino, ha preso carta e penna, si è iscritto al gruppo misto della Camera ed ha mandato una lettera a Fini in cui gli dice che si dimette anche da Montecitorio, come ha spiegato anche in una bella intervista al Messaggero, la cui lettura consigliamo ad Enrico ed ai suoi pasionari: «Sono in disaccordo con il mio partito a proposito della manovra economica. Io ho votato laltro giorno per il governo Monti, mentre Di Pietro e gli altri no.
Conclude Cambursano: «Ci vuole qualcuno che dia il buon esempio». Già, qualcuno ci vuole.
(2-continua)
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