Nelle città il Natale si vive di fretta. Quest'anno poi in piazza del Duomo, tra villaggi olimpici, alberi sponsorizzati, turisti, il viavai frenetico tra negozi e bancarelle a caccia dell'ultimo dono che manca per mettere fine alla lista, si fa fatica a coglierne il senso. Il senso del Natale, quello più intimo, si apprezza meglio fuori città, nei paesini, in qualche cascinale affacciato sui navigli con alberi veri illuminati quanto basta, nei tanti presepi viventi che raccontano la vita delle campagne lombarde. Il presepe vivente è una tradizione a Gudo Gambaredo, frazione di Buccinasco: si rinnova da 41 anni e porta una comunità in una spiritualità senza tempo. A trasformarsi in statuine viventi sono famiglie e volontari che in sette scena rievocano la Natività: l'annuncio dell'Angelo a Maria, Giuseppe falegname e il sogno, il censimento di Cesare Augusto, le locande di Betlemme, Re Erode e l'incontro con i Magi, l'annuncio degli angeli ai pastori e l'adorazione nella capanna di Betlemme. E un po' si riscopre lo spirito del Natale attraverso la contemplazione, il canto e la preghiera. Ma ci sono presepi anche a Robecco, fino a qualche anno fa sulle acque del Naviglio, e ad Albairate dove da lustri i "presepisti" allestiscono con mesi di sapiente lavoro nel cortile della Chiesa di San Giorgio un villaggio lombardo dell'800. Fabbri, falegnami, pastori, artigiani tutti in costume affiancano la Natività per salutare e festeggiare la nascita di Gesù dopo la santa messa di mezzanotte con tutto il paese. Tradizioni che si tramandano, feste sobrie perchè poi il Natale è una festa semplice, che non ha bisogno di tante (troppe) luci, cene, pranzi, doni e sfarzi per essere festeggiata e nei borghi riluce ancor di più al confronto del "Super Christmas" cittadino. Chissà poi perché in inglese. E chissà perché super. In realtà basterebbe augurare un sereno Natale ai più laici e un Santo Natale a chi ancora crede. Senza esagerare. Anche perchè a forza di strafare sfugge l'essenza di una festa che un presepe e un albero rappresentano in tutta la sua pienezza. Il resto è di più per non dire troppo: mercatini, villaggi delle meraviglie con piste di pattinaggio, luminarie da mille e una notte, alberi hi-tech, ecosostenibili, griffati e sponsorizzati. Anni fa, per alzare l'asticella dello stupore, c'era anche una corsa per le strade del centro con gli atleti tutti vestiti da babbo natale. Per non parlare del presepe. C'erano una volta una capanna, un bue, un asinello e Maria e Giuseppe a rappresentare la Natività. Fine. Oggi nei presepi si trova di tutto e di più dai carillon alle mongolfiere, dalle statuine stilizzate a quelle fatte con i mattoncini di plastica, motoslitte, cioccolatini, lustrini e cotillons. E delle capanne e delle mangiatoie si sono perse le tracce. Cambiano i tempi e cambia la tradizione che molti, erroneamente, confondono con l'abitudine. Con ciò che si fa di solito e che quindi, col passare del tempo, sostituiscono con altri riti, con altre usanze importate chissà da dove, in una miscellanea che mette insieme il sacro e il profano senza troppe distinzioni e che stravolge i valori di una festa che invece ha un solo senso. Ed uno solo. Perché se per tradizione si intende il più pregnante significato della "traditio" latina e cioè la trasmissione nel tempo, da una generazione a quelle successive, di memoria e testimonianza, di ciò che è stato visto e vissuto allora il racconto della "Notte di Natale" acquista un valore assoluto che non può essere sostituito, modificato, arricchito e stravolto. Il racconto del Natale non può essere che quello della Notte di Betlemme, di una capanna, di un bue e di un asinello con Gesù tra Giuseppe e Maria. Il resto è di troppo.
Liberi tutti poi di credere, non credere o di celebrare le Feste secondo la propria sensibilità. Liberi, ci mancherebbe. Perché ognuno ha il suo "Super Christmas" fantastico e scintillante. Ma il Santo Natale è un'altra cosa.