Senza risposte

Senza risposte

Ieri Piero Fassino ha rilasciato una lunga intervista a Repubblica. Ci si permetterà qualche commento. Fassino dice: «Non a caso chi guida la campagna è il Giornale». Commento: «Non è un caso, no: e chi dovrebbe condurla? Il Corriere? Ci si decida: l’altro giorno Eugenio Scalfari incolpava altri giornali. A esser proprio precisi a condurre la campagna, o meglio l’inchiesta, sarebbe la Procura di Milano: il Giornale si è limitato talvolta a dare o anticipare notizie evidentemente degne di nota, altrimenti non sarebbero state ampiamente riprese e rilanciate.
Fassino dice: «Provano a dimostrare che anche noi abbiamo le mani impastate con soldi loschi, per dimostrare l'indimostrabile hanno fatto ricorso a qualsiasi menzogna, chiamando in causa con riferimenti falsi prima Bersani e Visco, poi Sposetti. Si scrive ogni giorno che i conti esteri di Consorte in realtà sono la fonte di finanziamento ai Ds». Commento: ma provano a dimostrare chi? E si scrive ogni giorno dove? Parla del Giornale? Di Gad Lerner? Di Giampaolo Pansa? Parla dei militanti infuriati, noti lettori del Giornale? Fassino dice: «Pur di non perdere le elezioni, sono disposti ad uccidere l'avversario politico. Così si travolge non solo un partito, ma una democrazia, si stravolgono le normali regole di convivenza civile». E qui le preoccupazioni di Fassino potrebbero essere serie, e meritano la giusta attenzione: anche perché provengono dalla forza politica che dell’odio politico con supplenza della magistratura ha fatto cifra stilistica da almeno dodici anni a questa parte.
Fassino dice: «Tangenti non ce ne sono, non ci sono soldi occulti, non abbiamo conti in Svizzera, non li ha il nostro partito, non li ha nessuno di noi». Ma perché, chi l’ha scritto? Il Giornale? Fassino dice: «Errori possiamo commetterne, perché siamo uomini in carne ed ossa, e nessuno di noi, tanto meno io, ha l'idea dell'infallibilità. Discutiamo pure degli errori». Non ci riguarda più di tanto, ma quando avverrà? Nell’intervista non c’è alcuna ammissione di alcun errore, mentre per quanto riguarda sé medesimo, Fassino dice: «Proprio quella telefonata a Consorte, pubblicata in modo illegale, visto che in America, per molto meno, Nixon è arrivato all'impeachment, conferma la assoluta mia buona fede». Ecco, magari Nixon e il Watergate lasciamoli perdere: lì erano i magistrati a inseguire i giornalisti, non viceversa; per quanto riguarda l’Occidente, meglio sorvolare a sua volta: sennò toccherebbe ricordare quanto Sergio Romano ha ricordato a Piero Ottone qualche giorno fa (sul Corriere, non sul Giornale) circa l’accusa di alto tradimento che alcune nazioni riservavano alle forze politiche che avessero accettato denari dall’alleanza militare che puntava verso di loro migliaia di testate nucleari, ma questo in effetti c'entra poco, adesso.
Fassino dice: «Ho sempre rivendicato, per il movimento cooperativo, non privilegi ma uguali diritti e uguali opportunità rispetto a qualsiasi altra impresa. Rivendico il mio diritto ad aver fatto il tifo. Se tutto questo pandemonio contro i Ds deriva dal fatto che ho tifato, allora per tagliarla corta dico: bene, ammetto la mia responsabilità». Urrà: ma a parte alcune agevolazioni fiscali di cui godono le cooperative rispetto alle imprese tradizionali, sono tutte cose delle quali Fassino deve convincere la base Ds, in primis. Anche se, a dir vero, l’intervistatore di Repubblica Massimo Giannini ha ricordato che Pansa e i girotondi hanno chiesto a Fassino e a D'Alema di fare un passo indietro. Ma Fassino dice: «Veniamo da quattro anni di successi elettorali. E adesso abbiamo la possibilità di mandare a casa Berlusconi: una cosa impensabile nel 2001. Tra tre mesi si vota: adesso a ognuno di noi è richiesto di stare in campo per vincere. E, in ogni caso, chi mi conosce sa che in 35 anni di responsabilità politiche non sono mai stato incollato alle sedie su cui ero seduto». Commento: rimarrà sulla sedia.
Del resto l’intervista era iniziata così: «Chiuso nel suo ufficio di Via Nazionale, Piero Fassino respinge le accuse». Ecco, a proposito di riflessioni: perché Fassino è in via Nazionale? Come mai, dopo cinquant’anni di storia, un partito solido, e che si è proclamato estraneo a tangentopoli, ha dovuto abbandonare la sede di Botteghe Oscure che era così importante per la sua memoria? Che cos’era successo, che cos’era venuto meno? Infine, Fassino dice che è stato chiamato in causa D’Alema «con una provocazione indecente sul leasing per la barca». Commento: Gianni De Michelis, riconosciuto eccellente ministro dei tempi del Pentapartito, negli anni Ottanta amava portare una pettinatura diciamo non conforme allo stile di un esponente governativo. Lui rispondeva che un partito socialista che fosse moderno e riformista poteva permettersi ben altre incursioni nel pregiudizio: ma Craxi, che a tratti era più moralista di come le cronache hanno voluto raccontarcelo, considerava quest’ultima una provocazione inutile e controproducente. Forse aveva ragione.


Il lavoro e l’azione politica di De Michelis venivano spesso precedute e vanificate dai suoi capelli, e ora la domanda non è cambiata: se un leader di un partito di origini proletarie, che rivendica la tradizione di Berlinguer e che stigmatizza un’adamantina diversità nel raccogliere le fonti al sostentamento del suo partito, insomma i soldi, possa scavalcare questi buoni propositi per chiedere al suo popolo (più che alla destra) di guardare oltre l’apparenza, e possa insomma rivendicare la libertà di spendere la metà di quanto non ha versato al Partito in un leasing per una barca e in mutui per una casa eccetera. La risposta del suo partito, così come hanno voluto crescerlo, per ora rimane no.

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