Jurij Druznikov, era un uomo genialmente schivo. Amava lironia, lo scritto fulminante e surreale. E questo bastò per fare di lui un bersaglio perfetto del regime comunista sovietico. Non amava, invece, i riflettori, la letteratura che si trasforma in spettacolo. Questo bastò e basta a far sì che il grande circo delleditoria commerciale non abbia mai sviluppato un particolare interesse verso di lui.
Eppure questo esule, morto a 75 anni nella sua casa di Davis, in California, a causa di una polmonite è considerato dalla critica uno dei più importanti scrittori russi del 900, tanto da essere stato candidato al Nobel per la letteratura nel 2001.
In Italia è rimasto a lungo praticamente ignoto sino a che leditore Barbera ha pubblicato, nel 2006, il suo romanzo Angeli sulla punta di uno spillo che si è ritagliato rapidamente una piccola fetta di lettori affezionati e ammirati. Lettori che amavano sia la scrittura che il personaggio. Un russo, trapiantato negli Usa a metà anni 80, gioviale nonostante le vicissitudini e che del suo particolare modo di raccontare diceva: «Lhumour proviene dalla vita, come può essere estratto da una tazza di caffè espresso. E a me piacciono entrambe le cose: le storie e il caffè espresso...».
Autore poliedrico, critico, pedagogista, inventore di pièce teatrali, Druznikov aveva iniziato a pubblicare durante la dittatura stalinista. Bollato come dissidente per il suo stile caustico finì immediatamente nel mirino del Kgb. Anche radiato dallUnione degli scrittori sovietici continuò però a diffondere le sue opere in formato samizdat: ovvero con quelle copie in ciclostile, oppure a mano, in cui in Urss circolava tutto quello che valeva la pena di leggere. Nel 1985 Angeli sulla punta di uno spillo, il suo capolavoro, fu requisito durante una perquisizione. Subito arrestato, rischiò di essere rinchiuso in manicomio. Lo salvò una petizione internazionale firmata, tra gli altri, da Kurt Vonnegut, Arthur Miller e Elie Wiesel.
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