Signora, che cosa pensa del dottor Marchionne? Lo sguardo enigmatico di Cynthia C. Holland, presidente del sindacato Uaw della fabbrica Chrysler di Jefferson North, una sorridente donnona di colore, mi porta a correggere la domanda: parlo di Sergio... (e se si vuole aggiungere il cognome, meglio il più familiare Merscionn, ndr)
«Lo stimo. È la cosa più bella che ci potesse capitare».
Anche i suoi colleghi la pensano allo stesso modo?
«Certo. All’avvio della linea della nuova Grand Cherokee è stato applaudito. Un segno di riconoscenza da parte degli operai. È uno di noi».
Prima la gestione Daimler e ora quella Fiat. Chrysler ha nuovamente cambiato punto di riferimento.
«I tedeschi? Non abbiamo mai avuto modo di conoscerli. E non c’è mai stato un contatto one-to-one come avviene ora».
Dunque, sono arrivati gli italiani a salvare la Chrysler.
«Amo l’Italia. Non vedo l’ora di visitare il vostro Paese».
Siete fiduciosi sul futuro del gruppo?
«Un futuro lungo. La Chrysler vanta lavoratori di livello mondiale. Dimostreremo a Sergio che siamo capaci di costruire veicoli di qualità. Sergio non ci abbandonerà».
Il suo sogno?
«Che questa fabbrica cresca per altri 200 anni. E che i nostri figli, e i loro figli, abbiano modo di venire a lavorare qui».
Avete ricevuto la visita di John Elkann e di tutto il board della Fiat.
«Sì, per la prima volta abbiamo incontrato anche il presidente. C’è stato un proficuo contatto con il board della Fiat».
È partito il countdown per il lancio della piccola 500 negli Stati Uniti.
«Ne abbiamo una qui. Spero proprio che questa macchina possa far riaprire uno dei nostri impianti di cui è stata decisa la chiusura».
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