Serialità

The Bear torna con una seconda stagione imperdibile, tra trasformazione e accettazione

The Bear torna su Disney+ con una seconda stagione che non solo rispetta le premesse della prima serie, ma va oltre le aspettative del pubblico

The Bear torna con una seconda stagione imperdibile, tra trasformazione e accettazione

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Forse lo scorso anno nessuno si sarebbe immaginato il successo della serie The Bear, disponibile su Disney+ e che il sedici agosto tornerà sulla stessa piattaforma con la seconda stagione. La storia di uno chef stellato che torna a casa per prendere le redini del locale del fratello sembrava non avere, sulla carta, alcun appeal per diventare un piccolo gioiello acclamato dalla critica e amato dal pubblico, al punto da collezionare numerose candidature anche ai prossimi Emmy Awards che, a causa degli scioperi, sono stati spostati al 2024. Eppure The Bear, con la sua sceneggiatura febbrile e i suoi personaggi dalla lingua tagliente e il cuore spezzato, è riuscito a convincere praticamente chiunque, confermandosi come uno dei migliori prodotti della passata stagione televisiva. Inutile, dunque, sottolineare che la seconda stagione arriva con un bagaglio di aspettative altissime. Carmy (Jeremy Allen White), Sydney (Ayo Edebiri) e Richie (Ebon Moss-Bachrach), insieme al resto del team, sono nello stesso punto in cui li avevamo lasciati alla fine della prima stagione. La paninoteca gestita dal compianto Mickey (Jon Bernthal) è stato chiuso e ora inizia l'avventura di avviarne uno nuovo, migliore, che forse potrà competere per ricevere una tanto agognata stella Michelin. In breve, la trama della seconda stagione di The Bear si potrebbe riassumere così: un gruppo di professionisti si allea per aprire un ristorante di valore dalle ceneri di una paninoteca senza ambizioni. E, ancora una volta, una sinossi di questo tipo sulla carta non avrebbe alcuna attrattiva. Ma il punto è che The Bear è una di quelle rare e splendide serie in cui c'è una differenza tra la trama della serie e ciò di cui la serie parla. Perché se la trama non suggerisce nulla di nuovo o di interessante, ciò di cui The Bear parla è ancora di nuovo quell'ingrediente segreto che fa la differenza e che fa sì che questo nuovo arco di episodi sia al di là delle aspettative del pubblico. Se la prima stagione poteva essere letta nella chiave dell'elaborazione del lutto da parte del protagonista, costretto a rinunciare ai suoi sogni per tornare a casa e affrontare i demoni del suo passato, la seconda stagione prende il via dalla quinta delle cinque fasi che comunemente caratterizzano il dolore: l'accettazione. Ora che Carmy ha fatto (più o meno) pace con il gesto compiuto dal fratello maggiore, lo chef può andare avanti, prendere le macerie di ciò che resta del sogno di Mickey e far sì che le loro ambizioni collidano. Da questo punto di vista, allora, The Bear diventa soprattutto una serie che parla di trasformazione. Ogni personaggio, a proprio modo e coi propri tempi, si sottomette a un percorso che non è né di redenzione né di reinvenzione: le cose cambiano, mutano e, soprattutto, si trasformano. Ed è nel percorso dei personaggi - di tutti i personaggi - che si nasconde l'elemento migliore dello show disponibile su Disney+. In un certo senso questi nuovi episodi di The Bear sembrano seguire una struttura narrativa di solito tipica dei film dedicati ai grandi sportivi o alle grandi imprese dei singoli. Da una parte c'è un team di "sfigati", di persone piene di sogni ma privi di mezzi, dall'altra invece c'è un obiettivo folle da raggiungere, un "goal" da segnare per dare una concretezza ai propri sforzi, a tutte le difficoltà affrontate. Un tipo di narrativa, questa, che parla direttamente alle corde più intime ed empatiche del pubblico, che si trova a parteggiare per questo nugolo di antieroi, che si esprimono con un linguaggio da cucina quando non sono impegnati a imprecare contro i tiri mancini del destino. In effetti, l'eroismo che si vede in The Bear è l'eroismo della quotidianità. L'eroismo che si costruisce sulla forza di non lasciarsi abbattere dalle tante, piccole cose che possono andare storte nell'arco di ventiquattro ore, ogni giorno. Specie quando si insegue un sogno così grande come ridare vita a un ristorante, trasformandolo. Grazie a una colonna sonora che continua ad essere un protagonista aggiunto, così come a una sceneggiatura che ancora una volta si basa su scambi velocissimi e spesso così taglienti da far sanguinare, la seconda stagione di The Bear si sofferma anche sui tanti significati che può assumere la parola famiglia. Ogni personaggio, in qualche modo, deve fronteggiare questa entità così grande e a volte spaventosa, che li definisce o da cui vogliono scappare, anche quando non ne sono in grado. Ne esce fuori un affresco preciso e irresistibile, da cui è impossibile distogliere lo sguardo.

Insomma, se la seconda stagione di The Bear doveva rappresentare una sorta di "prova del nove", si può dire senza paura di sbagliare che lo show con Jeremy Allen White (di nuovo, irresistibile) l'ha superata senza sforzo.

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