Serialità

Dopo 24 anni c'è ancora Un medico in famiglia. Ma chi lo guarda?

Un medico in famiglia è stata una pietra miliare della televisione italiana di fine anni Novanta. A ventiquattro anni di distanza dal debutto e con l'approdo su Netflix, viene da chiedersi se rivedere la serie con nonno Libero abbia ancora senso

Dopo 24 anni c'è ancora Un medico in famiglia. Ma chi lo guarda?

Era il 1998 quando sulla Rai fece il suo debutto Un medico in famiglia, fiction ispirata all'omonima serie spagnola, che è andata avanti fino al 2016, diventando in breve una delle serie più longeve della televisione italiana. Pieno di buoni sentimenti e di situazioni che spesso sfociavano nella sospensione dell'incredulità, Un medico in famiglia è ora approdato su Netflix. In mezzo alla cosiddetta "esterofilia" che spinge gli spettatori a cercare sempre più spesso titoli stranieri, snobbando quelli italiani, la nota piattaforma di streaming ha scelto di proporre al proprio pubblico le prime quattro stagioni della fiction, giocando di fatto sull'effetto nostalgia. Nello stesso periodo in cui su Disney+ è arrivata la quarta stagione di Boris, che fa la parodia proprio di quell'universo televisivo di cui Un medico in famiglia è forse uno dei massimi esponenti, le avventure del dottore Lele Martini e della sua famiglia rischiano di essere anacronistiche.

Di cosa parla Un medico in famiglia?

Per la generazione cosiddetta dei millennials - vale a dire coloro che erano adolescenti nei primi anni Duemila - Un medico in famiglia era una sorta di appuntamento fisso, una specie di rito di passaggio che tutti affrontavano. La domenica sera erano molti i ragazzi che sostavano davanti alla televisione per seguire le vicende della famiglia Martini, quasi in una risposta nostrana a serie statunitensi come Settimo Cielo o Otto sotto un tetto. La storia della fiction prende il via quando il dottore Emanuele "Lele" Martini (Giulio Scarpati), rimasto recentemente vedovo, decide di trasferirsi con la famiglia fuori città, a Poggio Fiorito. Aiutato dal padre Libero (Lino Banfi), Lele cerca di conciliare il lavoro come medico dell'Asl e la crescita dei tre figli: Maria (Margot Sikabonyi), Ciccio (Michael Cadeddu) e Annuccia (Eleonora Cadeddu). Per quanto riguarda le prime stagioni soprattutto, Lele si occupa anche del nipote Alberto (Manuele Labate), mentre inizia a provare qualcosa per la cognata Alice (Claudia Pandolfi), figlia della ricca consuocera Enrica (Milena Vukotic). A tirare avanti la casa ci pensa la "ragazza" alla pari Cettina (Lunetta Savino). Nel corso delle dieci stagioni che compongono tutta la serie, molti attori e comici si sono avvicendati all'interno di casa Martini: da Enrico Brignano a Edoardo Leo, passando per Gabrielle Cirilli fino a Pietro Sermonti che, per una strana coincidenza, interpreterà poi Stanis in Boris dove, nelle prime stagioni, interpreta un attore "incastrato" con una fiction ambientata proprio in un contesto medico.

Ha ancora senso vedere la fiction Rai?

La prima cosa che salta all'occhio rivedendo Un medico in famiglia a ventiquattro anni di distanza dalla prima messa in onda su Rai 1 è il fatto che la fiction non è invecchiata bene. Dal formato in 4:3 - più quadrato rispetto a quello in 16:9 a cui ormai il pubblico è abituato - passando per la qualità delle immagini fino a un certo tipo di recitazione un po' sopra le righe, Un medico in famiglia è un prodotto che mostra tutti i suoi anni. Questo fa sì che la fiction appare decisamente anacronista rispetto agli altri prodotti presenti nel catalogo di Netflix. Gli spettatori delle nuove generazioni, che sono anche i maggiori fruitori della piattaforma streaming, difficilmente si faranno convincere a iniziare e proseguire una serie che appare fuori tempo massimo, soprattutto se si tiene conto che la prima stagione conta più di cinquanta episodi. Una cifra davvero spropositata, considerando che le serie moderne vanno solo raramente oltre i dieci episodi. Inoltre non aiuta la natura del racconto, che vira spesso verso la telenovela, con toni esageratamente melodrammatici, coi quali si cerca di raccontare la vita quotidiana di una famiglia nella quale nessuno riesce davvero a riconoscersi. Eppure, proprio per tutte queste caratteristiche che mostrano i segni dell'età, Un medico in famiglia può funzionare per un'altra fetta di pubblico.

Di sicuro Netflix non ha scelto di mettere nel proprio un palinsesto un prodotto tanto datato nella speranza di chiamare a sé folle di nuovi abbonati, soprattutto visto e considerato le difficili acque in cui il colosso del video on-demand sta nuotando. La speranza, probabilmente, è quella di giocare sul senso di nostalgia degli spettatori più grandi, di quelli che avevano tredici o quattordici anni quando nonno Libero ha fatto il suo debutto sul piccolo schermo. D'altra parte è proprio quel senso di nostalgia per un tempo che ormai non esiste più a dettare il successo di tante opere. Serie come Stranger Things o Dark hanno avuto successo anche grazie alla ricostruzione dorata di un decennio diventato iconico. Quindi puntare su quella malinconia rendendo di nuovo disponibile una serie così agée è per Netflix una strategia di marketing ben studiata, che spinge gli spettatori a rivedere la fiction, guidato da quel senso di Belle époque che rende magico e interessante qualcosa di cui si è fruito in quelli che, ancora oggi, vengono considerati i migliori anni della vita.

Da questo punto di vista, allora, rivedere Un medico in famiglia ha senso: coloro che lo amavano durante l'adolescenza si divertiranno di nuovo nel sentire i tormentoni di nonno Libero o le sfuriate di Cettina.

Per gli altri, fortunatamente, il catalogo Netflix è sempre ricco di titoli da scoprire.

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