Milano - Siamo dalle parti di Federico Moccia e dei suoi amori. Dentro l’acquario di una società liquida. In un mondo che cancella le barriere e non sa più dove fissare il confine fra la violenza sessuale e l’amore. Accade a Vicenza dove un macellaio di 34 anni avvia una relazione con una ragazzina di 13. Per il codice penale, articolo 609 quater, questa passione è un reato, un delitto gravissimo equiparato di fatto alla violenza sessuale e punito con una pena oscillante fra i 5 e i 10 anni. Il pubblico ministero va anche oltre contestando lo stupro aggravato, 609 ter, oltre al canonico 609 quater. Ma il tribunale, a sorpresa, interpreta in altro modo questa storia di frontiera e la tratta con tocco ultrasoft, infliggendo infine all’imputato la più lieve delle condanne: un anno e quattro mesi più ventimila euro di risarcimento all’amante-vittima.
Vicenda double face, semplice e insieme complessa, consumata fra la fine del 2004 e l’inizio del 2005. L’incipit è brusco, a dir poco: lui, Antonio Di Pascale, la vede e resta fulminato. La invita in macchina, lei in un modo o nell’altro sale, l’uomo e la ragazzina fanno l’amore. Tecnicamente, si potrebbe parlare di abbordaggio, ma i dati anagrafici impongono una lettura più cruda e cupa.
È stupro, non è stupro? E che cosa è questa corrispondenza impastata di lolitismo? Certo, lei ha meno di 14 anni e dunque l’innamorato ha violato automaticamente il codice, laddove punisce gli atti sessuali con una minorenne. In ogni caso i due si rivedono, si scambiano sms, si amano e si riamano. La differenza d’età è una parete alta vent’anni, ma quel che più conta è il punto di partenza: che arrampicata sui sentimenti e gli affetti può compiere una giovanissima che solo qualche mese prima era ancora una bambina?
I regali, le attenzioni, i baci non colmano questo punto di domanda. Inevitabilmente la storia rotola in tribunale e in questa cornice le parti si avvicinano al copione previsto dal legislatore: lei dice di aver subito uno stupro, la prima volta. Sul perché si sia poi aggrappata alla mano dell’aggressore, le risposte oscillano. Una sorta di dipendenza patologica, o forse, amore, o un fascio di sensazioni diverse, rese ancora più ingovernabili dall’età acerba.
In aula il duello si fa aspro. Il legale della giovane sottolinea la violenza iniziale, il Pm chiede 5 anni e mezzo di carcere, l’avvocato Teresa Ferrante invece spiega che il sentimento può scalare le montagne anche a tredici anni. «La ragazza - è la tesi difensiva - era consapevole anche se immatura». I due aggettivi, in teoria, fanno a pugni ma lei prova a farli convivere. E quasi ci riesce: la sentenza cancella il 609 ter, il capo d’imputazione più pesante, punibile fino a 12 anni, e riga dopo riga prende la strada del 609 quater, quarto comma: «Nei casi di minore gravità la pena è diminuita fino a due terzi». Non basta, perché ulteriore sconto, vengono concesse le attenuanti generiche.
Insomma, l’inevitabile condanna è poco più di un’ammaccatura sulla fedina penale: un anno e 4 mesi. La violenza, par di capire, non può essere coniugata con i doni, i sospiri, i messaggi rimasti nella memoria del telefonino ed esibiti a palazzo di giustizia. E non conta la più elementare delle considerazioni: spesso la sudditanza psicologica è rivestita, anzi colma di premure. Per il tribunale il macellaio «è risultato coinvolto in un vero e proprio sentimento d’amore». Lui stesso l’ha confermato, raccontando di un amore inossidabile, senza misure e senza tempo.
La fiction malata prevale sul codice. Ora tocca all’accusa giocare la carta dell’appello e provare a ribaltare il verdetto.
Per Antonio Marziale, presidente dell’osservatorio sui diritti dei minori, «è comunque esecrabile che una legge dello Stato preveda riduzioni di sorta. È dovere dello Stato tutelare in ogni forma l’immaturità di una ragazzina e la mancanza di scrupolo di un adulto».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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