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Sesta assoluzione per l’ex deputato messo in croce anche da Woodcock

da Milano

Aveva festeggiato i dieci anni di Mani pulite con l’ultima di una raffica di assoluzioni. Pierluigi Polverari, deputato nello sventurato Parlamento degli inquisiti sciolto da Scalfaro nel’94 e amico di Bettino Craxi, pensava in quel 2002 di aver finalmente chiuso la sua decennale partita con la giustizia. Si sbagliava, ci sono voluti altri cinque anni e altre sofferenze per guadagnare il sesto proscioglimento, anche questo con la più ampia delle motivazioni: perché il fatto non sussiste.
Il colpo di coda due anni e mezzo fa: a bussare questa volta la Procura di Potenza, nell’ennesima indagine condotta dal pm John Henry Woodcock. «Ero appena sceso dall’aereo - racconta Polverari - quando sul mio cellulare è arrivata una telefonata del Gico della Guardia di finanza. I militari dovevano notificarmi un avviso di garanzia».
L’ex parlamentare, che ha scelto di andare a vivere in Tunisia, si è sentito riafferrare dal passato: «Il mio peccato originale, l’essere rimasto vicino a Bettino negli ultimi tempi fra Tunisi e Hammamet».
A Tunisi Polverari ha messo su un’agenzia per la cooperazione al servizio delle molte imprese tricolori che cercano affari nel più progredito Paese arabo. Proprio una triangolazione, peraltro solo abbozzata e mai arrivata in porto, gli è costata quell’ultimo guaio. «Un giorno mi ha telefonato l’ambasciatore Umberto Vattani, con cui avevo un ottimo rapporto. E Vattani mi ha detto che l’Enoi, un’impresa che faceva capo all’onorevole Gianni Pilo, era interessata al mercato del gas algerino, non più monopolio dell’Eni. Nient’altro».
Polverari spedisce un fax con le sue valutazioni. Poi l’accordo sfuma, ma il Pm avanza il sospetto che si sia mossa una rete affaristica. E fa partire gli avvisi di garanzia. Di più: «Per Polverari - spiega l’avvocato Enzo Lo Giudice - Woodcock ha chiesto gli arresti domiciliari, negati per fortuna dal gip di Potenza. Poi, ha riproposto la misura cautelare al tribunale del riesame che l’ha rigettata di nuovo».
Insomma, Polverari si è trovato veramente su un crinale scivolosissimo, col rischio di rotolare indietro fino al 1992. «Naturalmente - riprende lui - ho avuto problemi gravi sul lavoro. Anche perché molti giornali italiani hanno rilanciato l’indagine con articoli, approfondimenti, accostamenti. Mi hanno dipinto come un torbido affarista collegato per vie traverse alla famiglia Craxi e in questo modo ho perso contratti e rapporti».
La storia si è risolta in due tempi. A un certo punto - commenta Lo Giudice - abbiamo sollevato il problema della competenza. Non si capiva cosa c’entrasse Potenza in tutta questa storia e infatti la pratica è stata dirottata a Roma».

Qui il Pm ha chiesto il rinvio a giudizio degli imputati, ma il gip li ha prosciolti in udienza preliminare. Insomma, non c’è stato nemmeno bisogno di un processo. Ora, a sessantun anni, può ricominciare come consulente. Anzi, come «ambasciatore» dell’Italia a Tunisi: un ruolo che proprio Craxi gli aveva suggerito.

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