Roma«No, non voglio mettere le mani nelle tasche degli italiani. Il contributo di solidarietà deve saltare». Berlusconi esordisce così, accogliendo i suoi ospiti. E termina con un sorriso: «Un grande risultato, ora avanti con la delega fiscale e la riforma dellarchitettura dello Stato. Andremo avanti fino al 2013». Dato per finito, allangolo, logorato dai «niet» di alleati di governo e ministri, il Cavaliere smentisce tutti ancora una volta. Non voleva una manovra lacrime sangue. E ci riesce.
Seppur con il consueto ottimismo («Ho messo da parte le bottiglie di champagne, festeggeremo così laccordo»), il Cavaliere è a tratti irremovibile nel vertice fiume di Arcore. Presenti a villa San Martino, assieme al premier, il segretario del Pdl Alfano, i capigruppo di Camera e Senato Cicchitto e Gasparri, il ministro del Turismo Brambilla, il presidente della Commissione Bilancio di palazzo Madama Azzolini, i leghisti Bossi, Maroni e Calderoli, il rappresentante di Popolo e Territorio Moffa e il ministro dellEconomia Tremonti.
Un vertice-fiume, durato ben sette ore, dalle 11 alle 18, dove non sono mancati momenti aspri, duri. Il confronto è serrato soprattutto nei confronti del ministro dellEconomia che tuttavia, seppur allangolo in certe occasioni, «sè prodigato per trovare soluzioni e non ha mai minacciato le dimissioni», racconta uno dei partecipanti. Il premier sostanzialmente parte lancia in resta contro la super Irpef, quel contributo di solidarietà che avrebbe colpito i redditi superiori ai 90mila euro: «Non siamo un governo di sinistra, piuttosto colpiamo i privilegi fiscali delle coop». Dallaltra parte le riserve del ministro dellEconomia che, inizialmente, nulla avrebbe cambiato della manovra: «Silvio, da qualche parte dobbiamo recuperare risorse. LEuropa ci guarda, i mercati pure. Ricordati i saldi invariati». Tremonti fa il possibile per vender cara la pelle. Ma dallaltra parte il fronte è compatto, compattissimo. Anche dalla Lega, questa volta, non arriva la sponda al ministro dellEconomia. Si cambi. Lapertura alla possibilità di aumentare di un punto lIva al 20 per cento, questa volta sbatte contro il niet di Tremonti. Il ministro dellEconomia vorrebbe tenersi questa misura come jolly. Sarebbe la carta da giocare in futuro qualora si rendesse necessario reperire altre risorse ma soprattutto utilizzare quel tesoretto nellambito di una più generale riforma fiscale. Su questo punto vince lui. Nessun aumento dellIva. Per ora. Sullargomento pesano anche le riserve del ministro del Turismo Brambilla, preoccupata che laumento possa portare a una contrazione dei consumi.
Poi il premier si rivolge a Bossi: «Umberto, dobbiamo fare le riforme strutturali. Devi cedere qualcosa pure tu». Alfano e Maroni hanno lavorato di diplomazia negli ultimi giorni e i frutti arrivano. Il Carroccio cede sulle Province. «Daccordo ma non contestualmente alla manovra». «Sì ma dobbiamo fare presto, prestissimo», è la risposta degli alleati pidiellini. Praticamente subito, visto che già la settimana prossima planerà in Consiglio dei ministri il ddl costituzionale che prevede la scure ai costi della politica. In pratica: dimezzamento del numero dei parlamentari e, allinterno, anche laddio alle Province. Tutte. Gli enti intermedi spariranno come enti statali e saranno le Regioni, in futuro, a occuparsi di quanto fanno oggi le Province. Non solo.
Il dibattito diventa serratissimo anche sul capitolo pensioni. «Sono riforme strutturali che vanno fatte per forza, Umberto», dice il premier al leader leghista che, anche su questo punto, è disposto a cedere qualcosa. In pratica salta fuori una sorta di escamotage per rinviare il riposo di circa 80mila persone. Con lesclusione del servizio militare nel calcolo dei tempi per luscita dal lavoro per la pensione di anzianità, si ritarda di un anno landata in pensione di quasi centomila uomini. Una misura che vale un bel po di quattrini: circa 1,5 miliardi.
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