Gian Micalessin
Mahmoud Ahmadinejad, il presidente pasdaran, promette di non fare un solo passo indietro. Gli Stati Uniti affilano le armi della diplomazia e preparano la battaglia al Consiglio di Sicurezza. I due grandi avversari sanno che la riunione dei prossimi giorni al Palazzo di Vetro non sarà risolutiva. Sarà solo il prologo di uno scontro che rischia, in futuro, di spingersi fino al confronto armato. Nessuno dei due avversari ne sottovaluta però limportanza. Washington vuole ottenere una risoluzione di condanna capace di evidenziare la pericolosità del programma nucleare iraniano. Teheran vuole dimostrare di poter schivare le sanzioni senza arretrare di un passo. Per i capi del regime la sfida alle sanzioni serve a rivendicare una salda reputazione internazionale e il ruolo di grande potenza regionale capace di contrapporsi allinfluenza statunitense in Medio Oriente.
Fedele a questi obiettivi Mahmoud Ahmadinejad promette che lIran non si piegherà al volere di Washington e di quanti vogliono costringerlo ad archiviare i suoi piani nucleari. «Non arretreremo di un solo passo, non rinunceremo al diritto a usare lenergia nucleare per fini pacifici, se lo facessimo rinunceremmo alla nostra identità» rimarca il presidente davanti agli ambasciatori della repubblica Islamica convocati a Teheran.
In questatmosfera di sfida sinserisce la sortita del ministro dellEnergia Parviz Fattah che annuncia ufficialmente il progetto per la costruzione di una seconda centrale nucleare. La nuova infrastruttura andrà ad affiancare quella di Bushehr costruita con laiuto della Russia, ma non ancora entrata in funzione. «Abbiamo già ricevuto i piani e lautorizzazione per la costruzione della nuova struttura e prevediamo di iniziare i lavori entro i prossimi sei mesi», ha spiegato ieri il ministro.
LAmerica non sembra però disposta a star a guardare. Stanziamenti di fondi a favore dellopposizione, manovre diplomatiche e alcune mosse sullo scacchiere internazionale segnalano le intenzioni di una Casa Bianca pronta al confronto diretto con quello che il segretario di Stato Condoleezza Rice definisce «il nemico più pericoloso». Secondo alcuni dirigenti dellHoovard Institute reduci da una serie dincontri nello Studio Ovale, lAmministrazione sarebbe decisa a giocare la carta del cambio di regime. Lasserita fiducia nel negoziato, ribadita anche di recente dal presidente americano sarebbe solo lultima dimostrazione di disponibilità prima del ricorso a rimedi estremi.
A conferma di queste tesi il quotidiano Washington Post segnala le recenti audizioni nella capitale di almeno 40 esperti di questioni iraniane, lampliamento del desk iraniano al dipartimento di Stato e la creazione di un ufficio presso lambasciata di Dubai incaricato di monitorare da vicino la regione persiana. Il segnale più concreto delle grandi manovre americane è lo stanziamento di 75 milioni di dollari destinati a finanziare le trasmissioni radiofoniche e televisive dellopposizione allestero e le attività per la promozione della democrazia. Teheran ha già risposto indirizzando una lettera di protesta alla sezione dinteressi americana nellambasciata svizzera a Teheran.
La missiva definisce «provocazioni e interferenze» le promesse di Bush e della Rice di appoggiare le richieste di democrazia del popolo iraniano. Teheran denuncia anche la «sfacciata violazione» dellimpegno a non appoggiare eventuali movimenti di opposizione contenuto nellaccordo di Algeri. Laccordo venne firmato nel 1981 dagli Stati Uniti per ottenere la liberazione dei 52 diplomatici sequestrati allambasciata di Teheran.
Anche i rapporti di Teheran con Mosca sembrano intanto a rischio. I vecchi compagni daffari russi, seppur indispettiti dal repentino no iraniano allofferta di sperimentare nei loro stabilimenti larricchimento delluranio, cercano comunque di far ragionare gli iraniani. «La nostra proposta di una joint venture per larricchimento delluranio rimane valida.
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