Giuseppe De Bellis
nostro inviato a New York
La corsa che non deve cominciare è già cominciata: Obama contro Hillary. Accendete le telecamere per le primarie del secolo: una donna contro un afroamericano, unex first lady contro il figlio di un immigrato. Lo sfondo è la Casa Bianca, le elezioni del 2008: mancano due anni, ma il desiderio è pruriginoso. Troppo famosa lei, troppo affascinante lui. LAmerica che non pensa alle elezioni di mid-term ha già in testa le presidenziali e questo duello storico. Teoricamente Hillary è impegnata nella rielezione al Senato: la sua vittoria è così scontata che non cè un solo americano che pensi che i soldi raccolti in campagna elettorale le serviranno per confermare il seggio dello Stato di New York. I milioni li tiene buoni per lunica cosa che le interessa davvero: raggiungere il marito e superarlo. Diventare la prima donna presidente degli Usa. Non lo dice: lascia che siano gli altri a parlare, però è lunica democratica certa di partecipare alle primarie.
Gran parte del partito la spinge, ha la città più importante che la sostiene, ha un marito, ex presidente, molto amato. Hillary va come un treno, nonostante i sondaggi dicano che nel confronto con qualunque repubblicano oggi sarebbe sconfitta. Forse se ne frega: prima deve vincere contro uno del suo partito. Barack Obama, senatore dellIllinois, ci pensa. A 45 anni, Time lha già incoronato: the next president. Lui sorride: «Dopo il 7 novembre mi siederò e prenderò attentamente in considerazione la cosa». Né sì, né no. Un forse che nutre lattesa. Perché Barack piace: sa parlare e sa capire. Racconta di Dio e di uomini. Allora si scaldano i motori. Lo stratega democratico Steve Elmerdof ci crede: «Se Obama si candida e si candida la Clinton non credo che ci possa essere spazio per nessun altro democratico. I due occupano unenorme quantità di spazio politico».
La sfida del secolo è una calamita. I blog raccontano i movimenti segreti del senatore. Il commentatore politico del Washington Post Chris Cilizza scrive che Barack abbia messo su un team di advisor veterani delle campagne presidenziali democratiche. Il gruppo di consiglieri lavora e vede il voto di mid-term come una boa. Tiene docchio la corsa per il seggio del Senato in ballo in Tennessee, perché lì nel sud profondamente conservatore e tendenzialmente repubblicano potrebbe vincere un democratico: Harold Ford, ultimo erede di una dinastia politica che ha fatto la storia dello Stato. Ford è nero, come Obama. Politicamente i due sono molto diversi: per dirne solo una, Obama è contro la guerra in Irak, Ford è a favore.
Non conta, però: quello che vuole capire lo staff del senatore dellIllinois è se il Sud è pronto per votare un uomo di colore. La cosa interessa anche Hillary: con Obama in campo, la signora Rodham vedrebbe seriamente compromessa la presa che la sua candidatura potrebbe avere tra lelettorato afroamericano, che ha sempre avuto un particolare feeling per il marito quando era alla Casa Bianca. La corsa è verso il centro, comunque. Se duello del secolo sarà alle primarie democratiche del 2008, sia Hillary sia Obama dovranno presentarsi nello Iowa per il primo appuntamento. E lì troveranno un concorrente: Tom Vilsack, ex governatore di sinistra ma anti-abortista e sensibile ai temi religiosi.
La Clinton si deve attrezzare: in molti Stati le sue posizioni sono troppo liberal anche per i liberal. Obama no. Allora non è un caso che sia uscito adesso il suo libro The Audacity of hope: è il manifesto politico del senatore. Parla di religione, parla di diritto dell«America di difendersi». Il libro alimenta la fama: lincetta di interviste tv e copertine dei magazine lo avvicinano a Hillary che fa della notorietà un punto a suo favore. Perché lei è conosciuta in ogni angolo dAmerica. Obama ha dei nemici.
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